Presidenziali del 1988

Chiamati alle urne l’8 novembre, gli elettori – orfani di un Presidente di successo e carismatico come Ronald Reagan cui il famoso Emendamento del 1951 impedisce una terza elezione e del quale pertanto rende improponibile la candidatura – non accorrono numerosi e la percentuale dei votanti si ferma al cinquanta e due.
Una campagna particolare e probabilmente quella nella quale i sondaggi, in uso dal 1936 quanto alle presidenziali, furono maggiormente altalenanti.
(Per inciso, non semplicemente sbagliati, volutamente o meno, come nel 1948 e soprattutto nel 2016).
Il candidato democratico Michael Dukakis, difatti, a giugno risultava vincente con un margine stratosferico – il diciassette per cento – sul rivale GOP George Herbert Bush per dipoi declinare e perdere con un distacco netto del dieci.
La battaglia interna ai due schieramenti nel corso di Caucus e Primarie era stata incerta almeno inizialmente.
Dukakis, Governatore del Massachusetts, prima di essere investito con facilità alla Convention di Atlanta, aveva difatti dovuto contrastare il Reverendo Jesse Jackson, per la seconda volta in corsa per la Nomination dell’Asino.
Quanto al secondo componente il ticket dem, la scelta cade sul Senatore Lloyd Bentsen, texano e considerato utile al fine di conquistare gli Stati del Sud.
Guardando agli altri pretendenti – a quelli in corsa anche solo per un momento – almeno due i nomi da segnalare perché a loro l’Asinello ricorrerà più avanti: i Senatori Al Gore del Tennessee e Joe Biden del Delaware.

Tra i repubblicani, il Vice Presidente George Herbert Bush – infine, acclamato alla Convention di New Orleans – aveva a sua volta trovato nelle prime consultazioni un oppositore di qualche peso nel leader GOP al Senato Bob Dole.
Trascurabile, invece, la conflittualità con il predicatore Pat Robertson.
Bush (che sarà dopo Martin Van Buren nel 1836 il secondo Vice ad arrivare a White House nel mandato immediatamente successivo a quello nel quale aveva esercitato appunto da secondo) sceglie quale suo coequipier il giovane Senatore dell’Indiana Dan Quayle.
(Sarà, Quayle, talmente incolore e incapace che nel successivo 1992 la propaganda democratica, martellando, ripeterà il minacciosissimo slogan “Non votate Bush. Dovesse morire gli succederebbe Quayle!”).

Una campagna – quella finale tra Bush e Dukakis – tra le peggiori quanto a livello etico, visto che i due campi si rivolsero accuse, molte decisamente inventate – di ogni tipo e genere.
L’esito?
Bush, quaranta Stati e quattrocentoventisei Elettori (ricordo: con l’iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni essendo loro compito effettivo eleggere il Capo dello Stato nel Collegio del quale entrano a fare parte).
Il Governatore del Massachusetts dieci Stati oltre al Distretto di Columbia e centoundici voti al Collegio.

Come si vede, all’appello (cinquecentotrentotto i membri del Collegio) manca un voto.
Ebbene, un Elettore del West Virginia si espresse infine non per Dukakis/Bentsen ma per Bentsen/Dukakis.
Contento lui…

10 aprile 2024