Presidenziali del 2016

Elezioni americane per moltissimi versi particolari quelle datate 2016.
Il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre e cioè il giorno nel quale si scelgono gli Elettori in questo 2016 cade l’8 del penultimo mese dell’anno.
Il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre e quindi il giorno nel quale nel 2016 il Collegio dei predetti effettivamente elegge il Presidente cade il 19 dell’ultimo mese dell’anno.
La partecipazione al voto è stata stimata al cinquantacinque e tre per cento degli aventi diritto, sostanzialmente in linea con le affluenze delle precedenti tornate.
L’esito elettorale quanto a voti popolari vede la democratica Hillary Rodham Clinton – con lei nel ticket il Senatore Tim Kaine – prevalere per più di due milioni e ottocentomila/quasi novecentomila suffragi.
E riportare il quarantotto per cento dei voti espressi contro il quarantasei del competitore.
L’esito quanto agli Stati vede il repubblicano Donald Trump – con il Governatore Mike Pence – vincere per trenta a venti (per lui vota anche una circoscrizione del Maine, per la Clinton vota anche il Distretto di Columbia).
Il risultato quanto agli Elettori – in totale, cinquecentotrentotto con la maggioranza assoluta fissata pertanto a duecentosettanta – vede Trump conquistarne trecentosei contro i duecentotrentadue della rivale.

In seguito, in sede di Collegio, a fronte di una dispersione dei voti, l’esito definitivo (dipoi, il 3 gennaio 2017, certificato dal Congresso), sarà:
Donald Trump trecentoquattro
Hillary Rodham Clinton duecentoventisette
Colin Powell tre
John Kasich uno
Bernie Sanders uno
Ron Paul uno
Faith Spotted Eagle uno.

Donald Trump è conseguentemente il quarantacinquesimo Presidente (ma il quarantaquattresimo individuo che ricopre la carica essendo Grover Cleveland conteggiato due volte perché rieletto, è vero, ma non consecutivamente).
Nel contempo, Mike Pence è il quarantottesimo Vice.

Per quanto, infatti, in molti casi, prima della riforma attuata con il XXV Emendamento del 1967, il Vice sia venuto a mancare (nel senso che non è stato sostituito quando deceduto o quando era entrato alla Casa Bianca al posto del titolare a sua volta defunto), è più volte occorso che Presidenti rieletti abbiano avuto Vice diversi nei differenti quadrienni (per esempio, F. D. Roosevelt ebbe tre successivi coequipier).

In buona sostanza, quanto ai suffragi, si deve concludere che l’affermazione del repubblicano sia conseguenza della vittoria da lui riportata in tutti e tre più importanti nella circostanza ‘Swing States’ (gli Stati che con frequenza cambiano voto passando dall’uno all’altro partito) – e cioè Florida, Ohio e Iowa – ma anche in buona parte degli Stati della ‘Rust belt’ che dal 1990 si esprimevano per i democratici.
Ha difatti conquistato il Michigan, il Wisconsin e la Pennsylvania.
Infinite volte nel corso della campagna si era da tutti sostenuto che Trump non avrebbe mai potuto vincere perché si riteneva impossibile che compisse l’impresa di prevalere in tutti e sei gli Stati indicati, cosa che di contro ha fatto.
A ben guardare, il totale dei voti popolari di margine del tycoon nei confronti della rivale nei citati Michigan, Wisconsin e Pennsylvania è di circa settantamila, un nulla peraltro bastante a far pendere decisamente la bilancia degli Elettori dalla sua parte.

Non trascurabili – i migliori di sempre del giovane movimento nato nel 1971 – i risultati ottenuti nell’occasione dal ticket del Libertarian Party Gary Johnson/Bill Weld (quasi quattro milioni e mezzo di voti e il tre e tre per cento degli elettori andati alle urne).

A proposito, i sostenitori di Hillary Clinton hanno lamentato la presenza libertariana che avrebbe sottratto alla ex First Lady i suffragi necessari per sconfiggere Trump proprio nei tre citati Stati della ‘Rust belt’.

Infine, discreta e nulla di più la performance della verde Jill Stein, ferma all’uno e zero cinque per cento dei voti degli aventi diritto.

Tra le infinite articolazioni conseguenti all’ora ricordato esito impossibile dimenticare il clamoroso – non assoluto, però: il Los Angeles Times, quasi scusandosi, ha costantemente predetto la vittoria di Trump – patatrac, tonfo delle previsioni sondaggistiche.
Tutte, tranne periodi brevissimi, assolutamente favorevoli all’ex Segretario di Stato, addirittura e perfino nel mentre la giornata elettorale volgeva al termine.
Altrettanto (se non di più) schierati con la Clinton tutti i maggiormente celebrati analisti.

Passando ai media, mai nella storia americana tante testate giornalistiche e tanti canali televisivi e radiofonici si erano ufficialmente pronunciati a favore di un candidato (ovviamente, ancora l’ex First Lady), poi, per di più, risultato perdente.
Mai tanto pochi a favore del candidato infine vincente.

Chiara dimostrazione questa della minima se non nulla rilevanza dell’opinione dei media e dei maître a penser nell’ambito.

17 aprile 2024