Presidenziali del 2020

Alle urne (voto postale a parte, e ne parliamo perché il deciso aumento del suffragio non in presenza in molte realtà – la competenza legislativa in merito è locale – è stato motivo di forti contestazioni da parte repubblicana ritenendolo Trump e collaboratori passibile di molte alterazioni fraudolente, in buona sostanza di brogli) il 3 novembre essendo, come oramai da tempo gli Elettori da nominare cinquecentotrentotto e conseguentemente duecentosettanta la maggioranza da raggiungere nel Collegio dipoi deliberante.

Record percentuale (sessantasei e sei) di votanti a far luogo dall’anno 1900 (numericamente, oltre ottantuno milioni, pari al cinquantuno e trentuno per cento, quanti si esprimono per il democratico e sfidante Joe Biden, più di settantaquattro, il quarantasei e ottantacinque, i sostenitori del Presidente uscente repubblicano Donald Trump il quale, come altri predecessori GOP – Benjamin Harrison, William Taft, Herbert Hoover, Gerald Ford, George Herbert Bush – fallisce la conferma), in totale e in entrambi i campi in assoluto.

In termini di Elettori (con l’iniziale maiuscola, si ripete ancora, per distinguerli da quelli comuni visto che hanno il compito di eleggere effettivamente il Capo dello Stato), trecentosei a duecentotrentadue.

Biden interrompe una serie di vittorie ad opera di Presidenti in cerca di ottenuta conferma lunga ventiquattro anni (Clinton/Clinton, G. W. Bush/G. B. Bush, Obama/Obama).
Con lui a formare il ticket dem la Senatrice della California Kamala Harris.
Non ovviamente (guardando ai due partiti egemoni, era stata preceduta nel ruolo di candidata vicaria da Geraldine Ferraro, del partito dell’Asino, nel 1984 e da Sarah Palin, una Elefantina, nel 2008) la prima Signora in corsa per lo scranno secondario ma la prima ad essere eletta.

Praticamente immediate, a spoglio che si annuncia dopo qualche momento a lui avverso, le contestazioni dell’incumbent (che da allora non ha mai mancato di ripetere che la Casa Bianca gli è stata “rubata”).
Molteplici i ricorsi prima che il 23 novembre la sua amministrazione consenta l’avvio della transizione.

Alla fine (quel che accade successivamente, attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 compreso, non concerne l’elezione), il Collegio formato dagli Electors nomina Biden il 14 dicembre 2020 (primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese seguente la votazione novembrina, come vuole la legge).
Entrerà in carica quale quarantaseiesimo inquilino della Executive Mansion a mezzogiorno del 20 gennaio 2021, giurando nelle mani del Chief della Corte Suprema John Glover Roberts.

Facendo un passo indietro, occorre sottolineare che Biden non è stato vincente nelle iniziali Primarie democratiche e che ha potuto prendere il volo sostanzialmente solo dopo l’intervento dell’establishment del partito che ha chiesto agli altri candidati non solo di ritirarsi ma anche di appoggiarlo.
Vinte così – l’unico oppositore rimasto essendo il ‘socialista’ Bernie Sanders – le molte votazioni locali del Supermartedì (il 2 marzo) ha successivamente ‘raccolto’ con facilità la Nomination.
Lo scoppio della pandemia da Covid (è stata la prima volta che negli Stati Uniti si è tenuta una campagna elettorale presidenziale tanto condizionata perché la Spagnola aveva avuto il suo periodo peggiore mentre erano in corso le Mid Term del 1918 e non nel 1920) ha certamente influito sul voto: difficile se non impossibile infatti per l’amministrazione, per quanto facesse, ottenere successi nel contenimento dell’epidemia ed evitare le conseguenti critiche.

A parte gli odi personali che ovviamente hanno avuto peso, l’esito elettorale ha viepiù evidenziato il distacco se non addirittura la contrapposizione frontale tra due Americhe: quella democratica per assai discutibile definizione progressista (perché mai l’aborto e il matrimonio gay, per dire, debbono essere considerati un progresso?) e quella repubblicana sostanzialmente conservatrice.
La prima vincente sommamente nei centri urbani maggiori (nel 2023, Miami esclusa, tutti i Sindaci della città più importanti sono dell’Asinello), la seconda nelle campagne.
Per la prima volta dal 1960 il vincitore in Ohio (Trump) non ha conquistato White House.
Come rarissimamente occorso, un candidato del Grand Old Party, vincente sia in Ohio che in Florida, non ha battuto il rivale.

18 aprile 2024