Quando Truman cercò di fermare Kennedy

Democratic Convention, 11/15 luglio 1960, Los Angeles Memorial Sports Arena and Memorial Coliseum.
Lasciata la Casa Bianca il 20 gennaio 1953, Harry Truman, per quanto possibile dato il carattere, se ne stette buono e tranquillo, tanto da non prendere posizione a favore del collega di partito Adlai Stevenson che, battuto quattro anni prima dal repubblicano Eisenhower, cercava la rivincita nella campagna elettorale del 1956.
Per il vero, nell’occasione, avrebbe preferito ottenesse la Nomination l’allora Governatore del New York Averell Harriman, ma la cosa non andò in porto.
D’altra parte – e per quanto nel 1952 il capo dello Stato uscente si fosse, sia pure in ritardo, dato da fare per dovere di partito – tra Adlai e Harry non correva buon sangue visto che l’aristocratico intellettuale già Governatore dell’Illinois riteneva che Truman fosse un politico di basso rango nel mentre il missouriano lo accusava di essere uno snob.
Arrivato che fu il 1960 e non potendosi più ricandidare Eisenhower per il disposto del XXII Emendamento, un nutrito gruppo di democratici annunciò l’intenzione di scendere in lizza per ottenere la Nomination: il Senatore del Massachusetts John Kennedy, il leader della maggioranza al Senato Lyndon Johnson, il Senatore del Missouri Stuart Symington, il Senatore del Minnesota Hubert Humphrey, il Senatore dell’Oregon Wayne Morse e il Governatore della California Pat Brown.
In più, senza proporsi nelle primarie ma sperando di arrivare comunque alla sua terza candidatura consecutiva in sede di Convention se nessuno tra i contendenti si fosse dimostrato un vincente, ancora e di nuovo Adlai Stevenson.
La Convention era stata fissata dall’11 al 15 luglio a Los Angeles.
Al termine della primarie e dei caucus, nessuno tra i predetti candidati aveva conquistato un numero sufficiente di delegati per essere scelto al primo scrutino.
Si trattava, quindi, di un Congresso ‘aperto’, nel corso del quale le più diverse e improbabili alleanze avrebbero portato ad una scelta di compromesso ma definitiva.
I tre candidati di maggior peso, quelli davvero in corsa a quel punto, erano Kennedy, Johnson e Stevenson.

Harry Truman entrò allora in gioco sostenendo che per superare l’impasse i tre avrebbero dovuto fare un passo indietro e dare spazio e strada a Stuart Symington, che era stato Segretario all’aviazione nel suo governo ed era missouriano, sia pure di adozione, come lui.
Gli andò male: ‘Stu’ fu sconfitto, l’ipotesi Stevenson non decollò, Johnson accettò, contro le previsioni perfino dell’entourage di Kennedy, di correre nel ticket per la Vicepresidenza.
Il fatto che fosse cattolico fu certamente un impedimento per il futuro Presidente della ‘Nuova frontiera’ ma, e già lo avevano dimostrato gli esiti delle primarie, non insuperabile come era stato nel 1928 per Alfred Smith accusato di essere un ‘papista’.

Sul tema, allorquando i giochi a favore del Senatore del Massachusetts apparvero fatti, il vecchio Truman se ne uscì con una battuta rimasta celebre: “It’s not the Pope I’m worried about, It’s the Pop” (“Non è il Papa che mi preoccupa, ma il papà”).
Chiunque conoscesse il padre di John, Joseph Kennedy, il suo carattere, la provenienza del suo denaro poteva concordare con lui!

24 maggio 2024