Quanti i neri tra i manifestanti e quali le considerazioni

È ora di mettere i dati in tavola e di spazzare via l’idea, la convinzione (razzista, esistendo e proliferando un razzismo di sinistra) che a provocare e condurre le rivolte, i disordini e le devastazioni seguite alla morte, per mano ahimè poliziesca, di George Floyd a Minneapolis siano stati e siano i neri.
Così come tra quanti di questi giorni (ma già in alcuni sottovalutati casi dal 2017) vogliono abbattere le statue di veri o supposti ‘schiavisti’, i neri coinvolti sono una minoranza: il 17 per cento!
Molto più numerosi i bianchi: al 46.
Di più, anche se di poco, gli ispanici: al 22.
8 per cento, infine, gli asiatici (in genere, e non sarebbe male distinguerli).
Fra i neri – non certamente quelli a dir poco barricadieri – numerosi, peraltro, quanti hanno condannato gli accadimenti passati e in atto.
È a seguito (anche, perché molte altre di ordine ideologico, sociale e politico premono) di queste rilevazioni e prese di posizione che occorre prendere coscienza ed atto di una situazione genericamente collettiva americana decisamente grave che i partiti non sanno come affrontare e che si va incancrenendo.
Le due tendenze – quella repubblicana ad affrontare con la forza e, ci si consenta, le armi del diritto i devastatori e quella democratica di evitare ogni presa di distanza dagli stessi in nome del profondamente malinteso corno del ‘Dilemma madisoniano’ che invita a tenere conto delle istanze minoritarie (non certamente a renderle dominanti!) – sono inconciliabili.
Vanno gli Stati Uniti incontro a confronti assai seriamente dividenti.
Già da tempo non dichiaratamente separati (cosa mai tiene seriamente insieme un Californiano e un abitante dell’Idaho?) per modo di vivere, mentalità, memorie, affetti e – bisogna pur dirlo – prevalenza partitica, tendono gli USA ad una disgregazione che non sarà mai politica e istituzionale ma alterante al punto di non farli più riconoscere quali avevamo imparato a identificarli e considerarli.