Ruth Bryan: una ipotesi di ineleggibilità

Avete presente William Jennings Bryan?
Democratico?
Grande oratore?
Tre volte invano candidato a White House tra fine Ottocento e inizio Novecento?
Segretario di Stato con Woodrow Wilson?
Nelle vesti di esperto della Bibbia nel famoso ‘Processo della scimmia’ del 1925?
Ebbene, parliamo – ne vale assolutamente la pena – di sua figlia, Ruth.
Personalmente davvero notevole, la Signora resta nella storia degli Stati Uniti per almeno tre ragioni.
È la prima Donna che sia entrata a far parte della Commissione Esteri della Camera.
È la prima Donna che sia diventata Ambasciatore degli Stati Uniti (in Danimarca, nel 1933, nominata da Franklin Delano Roosevelt).
È la protagonista di un caso davvero interessante, visto che, avendo in seconde nozze sposato un inglese del quale era rimasta vedova nonché con lui vissuto all’estero, aveva (avrebbe?) – secondo la legge allora vigente e la Costituzione – perso la cittadinanza americana senza dipoi seguire il previsto iter che le doveva consentire di riottenerla e comunque non rispettato il disposto costituzionale che prevedeva (e prevede) che un Rappresentante, al momento della elezione, debba essere cittadino in regola da almeno sette anni.
Cose che le vennero eccepite in un avverso, non infondato, ricorso dal rivale repubblicano sconfitto nelle votazioni per la Camera del 1928.
Ora, forte del fatto che la normativa in questione non fosse mai stata neppure presa in considerazione nei riguardi di un uomo e appunto sostenendo che veniva eccepita nei suoi confronti solo in quanto Donna, Ruth Bryan, in sede camerale (i due rami del Congresso sono i soli a poter decidere in relazione alla eleggibilità dei loro membri) si oppose e venne confermata in ruolo.
Nella circostanza, ricordando le sconfitte elettorali del padre, peraltro forzando i fatti, con molto humour, disse:
“Sono il primo Bryan in corsa per un seggio ad avere vinto l’elezione!”