‘Southern Strategy’

Terminata che fu, nel 1865, la Guerra di Secessione, all’incirca per una ventina d’anni gli Stati ex confederati del Sud furono governati dai cosiddetti ‘borboni’, definizione loro attribuita con riferimento ai reali di Francia che, di nuovo al potere dopo Napoleone, tentarono di ritornare tout court al precedente regime quasi che gli avvenimenti dei decenni precedenti non avessero avuto luogo.

Per la storia, la denominazione non corrispose se non in minima parte al vero visto che molti degli amministratori succedutisi nel periodo erano su posizioni assai meno conservatrici dei predecessori.

A partire indicativamente dal 1885 e addirittura fino ai primi Settanta del Novecento, comunque, le cose cambiarono e un solo partito ebbe a dominare, praticamente senza opposizione, la vita politica locale: il democratico.

Sostanzialmente razzisti, conservatori, culturalmente legati alla tradizione, creazionisti, gli Stati del Sud furono per lunghissimi anni terra bruciata per i repubblicani tanto che le ‘vere’ elezioni erano da ritenere le selezioni interne (le primarie) ai democratici, dato il fatto che il prescelto per la carica in gioco aveva dipoi vita facilissima il giorno del voto.

Ciononostante, a partire da Lincoln e, con la sola interruzione dei due mandati non consecutivi di Grover Cleveland, fino a William Taft, i Gop occuparono stabilmente White House vincendo a mani basse negli altri Stati.

Trascorsa la parentesi Wilson (arrivato alla presidenza nel 1912 a causa delle divisioni interne dei repubblicani) e superati gli anni Venti, una delle infinite conseguenze della Grande Depressione fu lo stravolgimento politico che, in carica Franklin Delano Roosevelt, fece passare molti tra gli Stati usualmente repubblicani in campo avverso.

Ritiratosi Truman, nel 1952 i Gop proposero per la Casa Bianca il generale Eisenhower.

Consapevole delle proprie capacità e convinto di poter avere successo anche nel ‘nemico’ Sud, Ike, infrangendo vecchie regole comportamentali del partito che praticamente rifiutava di scendere a meridione per fare campagna elettorale ritenendolo inutile, percorse anche quelle terre.

Nell’occasione e meglio nel successivo 1956, con qualche significativo successo.

E’, comunque, nel 1964, nella disfatta (Lyndon Johnson travolse il loro Barry Goldwater), che davvero i repubblicani si rivolgono al Sud inaugurando la ‘Southern Strategy’, quella politica attenta alle istanze e alle necessità dei sudisti che poco dopo porterà il partito a conquistare velocemente gli Stati un tempo assolutamente democratici.

E’, quello del meridione americano, nel rifiuto di ogni residuo razzismo (non si dimentichi che il partito fu fondato per combattere lo schiavismo, che il primo presidente espresso fu Abraham Lincoln, che la Corte Suprema presieduta da Earl Warren, repubblicano, è quella che ha pronunciato nei Cinquanta del Novecento le storiche sentenze di apertura nei confronti delle minoranze razziali, che fu il repubblicano Eisenhower ad inviare nel Sud le truppe federali al fine di consentire l’applicazione delle medesime sentenze alle quali i governatori democratici – si pensi a George Wallace e ad Orval Faubus – si opponevano, che è stato George Walker Bush il primo presidente a chiamare alla segreteria di Stato un nero), un repubblicanesimo conservatore, legato fortemente alla tradizione, religioso, molto differente dal repubblicanesimo del Nord industriale e lontano dall’ala radicale e libertaria che pure (si guardi a Ron e Rand Paul) nel Gop trova collocazione.

E, d’altra parte, innumerevoli e perfino sostanziali sono, per esempio, anche le differenze esistenti tra un democratico, che so?, del Massachusetts e uno dell’Oklahoma.

In buona sostanza, gli Stati del Sud trovano usualmente nello schieramento ora rappresentato da Donald Trump una forte continuità con le loro posizioni pregresse.

Dovrà, quindi, il candidato nuovaiorchese dedicare larga parte della sua campagna al Sud e far propria, eventualmente adattandola, la tuttora e maggiormente determinante ‘Southern Strategy’.