Squilibrati alla Casa Bianca

Il Donald Trump da molti visto e rappresentato come un pericoloso squilibrato (ovviamente, il furbacchione, tale non è assolutamente) richiama alla mente un oramai antico mio pezzo dedicato proprio ai ‘Pazzi alla Casa Bianca’.

Eccolo:

“Tempo fa, negli Stati Uniti, ebbe un qualche successo un libro di Anthony Summers (già autore di una buonissima e documentata biografia di J. Edgar Hoover, per lunghissimi anni direttore del FBI) dedicato a Richard Nixon.

Il presidente del Watergate – ma, non dimentichiamolo, anche dell’apertura alla Cina e di altri grandi successi in politica internazionale – veniva presentato da Summers come un folle, capace di mettere in pericolo la sicurezza nazionale e di picchiare più volte la moglie perché schiavo di potenti psicofarmaci che assumeva per combattere ansietà, insonnia ed altri sintomi nevrotici.

A fronte di tali ‘rivelazioni’ (in molti casi non provate e per altri versi già note), viene da chiedersi se in un sistema quale quello che regola la vita politica americana sia davvero possibile che un pazzo o, comunque, uno squilibrato arrivi alla Casa Bianca.

Guardando alla storia più recente delle elezioni presidenziali USA, è nel 1972 che si corse, in questo senso, il pericolo più concreto.

Allora, infatti, George McGovern, candidato per i democratici alla White House, scelse come suo partner il senatore Thomas E. Eagleton che risultò essere stato per lungo tempo in cura da uno psichiatra per gravi turbe mentali.

Se il caso – un vero e proprio ‘scheletro nell’armadio’ – non fosse venuto alla luce e se McGovern avesse prevalso, Eagleton si sarebbe venuto a trovare molto vicino (‘ad un battito di cuore’, come si usa dire) al potere diventando il vice presidente.

Naturalmente, il senatore, sia pure con qualche incredibile titubanza, fu sostituito e nel ticket democratico prese il suo posto Sargent Shriver.

Se, al di là della corsa alla presidenza, si fa riferimento, invece, all’intera politica USA, in molti casi, veri e propri folli hanno raggiunto cariche di grande responsabilità.

Particolarmente significative, a questo proposito, le storie di due fratelli della Louisiana, Huey – ‘The Kingfish’, come era soprannominato – e Earl Long, la cui avventura terrena fu immortalata da Hollywood (il primo è protagonista dell’ottima pellicola di Robert Rossen ‘Tutti gli uomini del re’, premiata con tre Oscar, tratta dall’omonimo romanzo, che vinse il Pulitzer, di Robert Penn Warren; il secondo, del meno riuscito ‘Scandalo Blaze’, con Paul Newman).

Giunto al governatorato del suo Stato nel 1928, Huey, autodidatta, fluviale ed abilissimo oratore, intrallazzatore e allo stesso tempo capace di realizzare per i suoi concittadini opere pubbliche di grande rilievo, divenuto in seguito senatore degli Stati Uniti, dopo avere appoggiato F. D. Roosevelt nella campagna contro Herbert Hoover, nel 1935 e in vista delle presidenziali fissate all’anno successivo, pensò seriamente ad una propria candidatura e pubblicò un libello intitolato ‘I miei primi cento giorni alla Casa Bianca’.

In quelle pagine, ipotizzava, per far fronte alla Depressione, un azzeramento di tutte le proprietà private e la ridistribuzione in parti uguali a tutti i cittadini dei capitali.

La sua corsa verso White House (Roosevelt ebbe a temerne l’impeto) fu fermata dai colpi di pistola di un medico di campagna che, uccidendolo, intendeva vendicare vecchi torti subiti dalla sua famiglia.

Earl Long – a propria volta, anni dopo governatore della Louisiana – pazzo come un cavallo, fu rinchiuso per ordine del locale parlamento in un ospedale psichiatrico dello Stato.

Forte della sua carica, ritornò libero destituendo i medici di quel manicomio che, formalmente, risultavano alla sue dipendenze.

Più volte confermato ed altrettante volte contestato, alla fine, si candidò alla Camera del Rappresentanti nazionale.

Eletto trionfalmente contro tutte le aspettative, morì subito dopo.

In conclusione, nulla nel meccanismo elettorale americano si oppone a che un demagogo o un folle arrivino ai vertici del potere”.