Storicamente, una novità la sconfitta di Donald Trump

La mancata conferma alla Casa Bianca di Donald Trump è da un particolare punto di vista storico ‘nuova’.
Guardando difatti alle occasioni che dal dopoguerra hanno portato a un consimile risultato, ogni volta – e non quanto al tycoon – il Presidente dipoi defenestrato si era trovato ad affrontare un contendente alla nomination interno al partito (di ‘peso’ personale o di una consistenza dovuta alle circostanze).
Harry Truman – chissà se effettivamente motivato a provarci ancora (era ‘sopravvissuto’ alla sfida del Grand Old Party contro tutte le aspettative nel 1948) – nel 1952, lasciò subito dopo avere constatato l’esito iniziale favorevole (Primarie del New Hampshire) della candidatura a lui alternativa di Estes Kefauver.
È nel 1968 la successiva rinuncia da parte di un Capo dello Stato in grado di affrontare una seconda elezione (nel 1951 era entrato in vigore l’Emendamento che ne impediva altre).
Fu Lyndon Johnson il desso.
Sotto schiaffo in politica estera (il drammatico Vietnam era un impegno che certamente non poteva trascurare e lo travolgeva), inopinatamente sfidato da subito da Eugene McCarthy, il successore di John Kennedy lasciava la competizione il 31 marzo.
È nel 1976 che la questione si traferisce in casa repubblicana.
Incumbent è Gerald Ford (peraltro, inquilino mai eletto colà paracadutato da uniche circostanze e da due dimissioni: dapprima di un Vice e poi del Presidente!).
Forte e finita negativamente per pochissimo solo in sede di Convention la sfida che gli porta Ronald Reagan.
Certo è che – come nei due casi poco fa rammentati – Ford a novembre perde.
Nel seguente 1980, determinata e soprattutto nelle prime fasi di notevole successo la chiamata alle armi dei democratici critici quanto a Jimmy Carter operata da Ted Kennedy.
Si arenerà sul più bello il ‘terzo’ esponente della potente famiglia politica democratica del Massachusetts.
E come va a finire se non male nelle urne l’ex Governatore della Georgia.
L’ultimo uomo in questa panoramica insediato alla Executive Mansion al quale – prima di Donald Trump – non riesce il bis, è, nel 1992, George Herbert Bush.
Alla fine, vinse, tra Caucus e Primarie, tutti i confronti ma il fatto che l’esponente conservatore Pat Buchanan avesse avuto un buon successo (ancora nel New Hampshire) ebbe ad incidere.
(Le votazioni 1992 devono essere però sempre considerate particolari dato che un terzo indipendente, Ross Perot, scese in lotta ottenendo dal punto di vista del voto popolare un risultato eccezionale, in larga misura a danno del primo Bush).
Si constata alla luce di questi accadimenti la nelle primissime righe indicata novità trumpiana.
Nessuno lo ha affrontato – non è di certo stata una cosa seria l’opzione Bill Weld, non sia mai – ed ha perso ugualmente.
Ma c’è qualcuno che seriamente ritenga che il Covid, la pandemia, non abbiano operato contro Trump infinitamente più fortemente di un in realtà inesistente avversario interno per la nomination?