Tentativi (non riusciti) di ripetere quanto accaduto nel 1824

1824.

Quattro i candidati alla Presidenza.

Esponenti tutti dello stesso partito.

Il Repubblicano/Democratico che dai tempi di Thomas Jefferson occupa l’ambito scranno.

Si vota dal 26 ottobre al 2 dicembre.

Andrew Jackson è il più gettonato a livello popolare e conquista novantanove Grandi Elettori.

John Quincy Adams è secondo e conta su ottantaquattro delegati nazionali.

William Crawford (terzo) ha quarantuno Grandi Elettori ed Henry Clay (quarto) trentasette.

Essendo la maggioranza assoluta fissata a centotrentuno il Collegio Elettorale non può nominare  il Capo dello Stato.

La patata bollente passa così alla Camera dei Rappresentanti.

Contrasti, polemiche, discussioni, accordi e disaccordi e l’8 febbraio 1825 il consesso si pronuncia a favore di Adams.

Origina da questa tormentata vicenda il Partito Democratico che si raccoglie intorno a Jackson

– convinto di essere stato defraudato – e che nel 1828 vincerà le elezioni.

Come altra volta detto, la votazione della Camera in tali circostanze prevede che ogni Stato conti uno.

Non importa più quindi la consistenza della popolazione (che determina il numero dei Grandi Elettori spettanti a ciascun territorio) ragione per la quale l’Alaska (che allora non apparteneva all’Unione e viene presa ad esempio in quanto pochissimo popolata) e la California (altro esempio: all’epoca, ancora messicana e oggi lo Stato più abitato e pertanto con il maggior numero di Grandi Elettori) hanno lo stesso ‘peso’.

Pochi anni trascorrono e nel 1836 il Partito Whig propone a propria volta quattro candidati.

L’intento dichiarato è quello di spezzettare i Grandi Elettori e di impedire al democratico Martin Van Buren di raggiungere la maggioranza assoluta degli stessi spostando l’elezione al consesso dei Rappresentanti dove conta il movimento di prevalere.

L’operazione non va a buon fine.

Van Buren è eletto dai centosettanta delegati nazionali conquistati.

Per inciso, nel successivo 1840, i Whig, cambieranno strategia e presenteranno solo William Harrison vincendo.

Da allora, molte le occasioni nelle quali terzi partiti o candidati indipendenti si sono presentati non ipotizzando di essere eletti ma al fine appunto di spostare la determinazione finale alla Camera.

In circostanze cotali, difatti, potendo contare sull’appoggio di uno o più Stati, è possibile influire sul programma dell’eligendo o sulla composizione del suo Governo.

Questo certamente l’intento per dire dei Populisti di Weaver nel 1892,  di Robert La Follette nel 1924, dei Dixiecrats di Strom Thurmond nel 1948, di George Wallace nel 1968.

Perfino, di Evan McMullin nel 2016.

Come sappiamo, nessuno di questi tentativi è andato a buon fine.

Trovo difficile definire con certezza allo stesso modo l’avventura elettorale nel 1992 (nel 1996 con minore impeto) di Ross Perot.

Arrivò al diciannove per cento del voto popolare e per qualche momento può aver pensato di vincere.