Truman dopo White House: formidabile

C’è modo e modo di vivere il ‘dopo Casa Bianca’.

Appartati e in silenzio?

Certamente.

Disponibili, consultati e ascoltati come  Jimmy Carter?

Perbacco, ma non è cosa comune.

Assolutamente partecipi della vita politica del proprio partito e non solo?

Mai probabilmente nessuno tanto presente e attivo quanto Harry Truman.

È il formidabile democratico missouriano che nel 1952, ancora in sella visto che decadrà il 20 gennaio 1953, appoggiando Adlai Stevenson, percorre in lungo e in largo in treno, alla vecchia maniera, il Paese.

È ancora lui nel 1956 a brigare perché il partito scelga Averell Harriman (peraltro non riuscendoci) avendo compreso che il bis di Stevenson – per il quale comunque si adopererà – non aveva possibilità alcuna di vittoria.

È sempre Truman che nel 1960 non crede a John Kennedy e cerca di portare avanti Stuart Symington.

Afferma nella circostanza, mentre molti si chiedono come impedire che il Cattolicesimo di Kennedy lo penalizzi e ricordando invece i trascorsi poco lineari del padre Joseph:

“Non è il Papa a preoccuparmi.

È il papà”

(“It’s not the Pope who worries me, it’s the pop!”)

È ancora il solido Truman ad intervenire a proposito del Vietnam nel 1964.

Non si vantava forse, più che ottantenne, di entrare ancora nella divisa indossata al fronte nella Prima Guerra Mondiale purché qualcuno avesse rinforzato le cuciture?