Un repubblicano nel 2024?

Orbene, per quanto risulti indubbiamente il candidato repubblicano (uscente e in cerca di conferma, la qual cosa ha certamente contato) più popolarmente votato della storia, Donald Trump – dovrebbero certificarlo (accadrà) i Grandi Elettori il prossimo lunedì 14 votando nel Collegio che li racchiude – ha perso.
Insistenti voci lo indicherebbero intenzionato a riproporsi nel 2024.
Vedremo (è accaduto nel 1892 che Grover Cleveland, già alla Executive Mansion dal 1885 al 1889 e sconfitto nel 1888, si sia preso la rivincita, governando nuovamente).
Questa ipotesi a parte, quale il percorso che verrebbe da indicare ad un esponente del Grand Old Party intenzionato a vincere il 5 novembre 2024? (E non si creda che questa possibilità sia assolutamente remota.
Esaminando il 2020 elettorale e confrontandolo, l’ottimo Scott Rasmussen ha messo in rilievo sorprendenti analogie con il 1976, quando, la allora netta sconfitta del Grand Old Party che a molti appariva tombale, annunciava nientemeno che il Reagan 1980 e 1984!).
Come in altre occasioni vergato, il partito repubblicano non è mai stato (neppure nelle due ultime campagne per White House) un ‘Comitato Elettorale’.
È il partito di Abraham Lincoln.
Di Theodore Roosevelt.
Di Ronald Reagan.
E di mille altri (compreso un Presidente della Corte Suprema vero e decisivo riformatore quale fu Earl Warren) che, con loro, si sono costantemente interrogati ideologicamente e culturalmente, lasciando nell’azione profonda e imperitura traccia.
E nel 2015/16, cos’altro stava a significare che fossero in 17 a confrontarsi per la nomination se non che il dibattito interno era estremamente articolato?
Centristi, ovviamente.
Conservatori in campo economico.
Conservatori – non solo gli Evangelici ma anche frange notevoli di Cattolici e non pochi tra questi Ispanici – in campo etico.
Sostenitori dell’Originalismo nella lettura della Costituzione e delle Leggi.
Integralisti.
Tea Party.
Ambiti particolarmente vicini ai Libertariani.
Radicali.
Una composizione a fronte della quale l’establishment democratico imponeva (Bernie Sanders fu ‘segato’ per avere osato anche solo proporsi) una ‘impacchettata’ Hillary Clinton, voluta dai poteri forti e sostenuta a spada tratta da media non impegnati ad informare quanto a politicamente incidere.
Nella temperie, un Donald Trump apparentemente ‘stonato’ ma, lo si è constatato nel quadriennio a seguire, invero, per quanto ‘maverick’ e quindi, a tutto suo modo, repubblicano, ha vinto prima la nomination che gli pareva negata e poi (contro ogni pronostico, col voto del Grandi Elettori) la Casa Bianca.
Certo, nessuno è oggi in grado di neppure immaginare quanto accadrà nei prossimi quattro anni.
Su quali temi si articolerà il dibattito politico economico sociale nel 2024.
Certo, comunque, che ‘il’ candidato repubblicano giusto – quale il confronto interno selezionerà – dovrà esserlo compiutamente, con orgoglio, rifiutando ogni compromesso, rifiutando assolutamente la perdente e sciocca tentazione di mutare pelle.
Più repubblicano ancora, pertanto!