‘Unwinnable States’

Vincere tutti gli Stati ed essere quindi eletti Presidenti all’unanimità è possibile?

Ai bei tempi, l’impresa è riuscita in pieno due volte a George Washington (1788/89 e 1792, le prime elezioni) e non appieno (si impose dappertutto ma uno dei Grandi Elettori nel Collegio non lo votò) a James Monroe (nel 1820).

In ‘momenti’ a noi più vicini, Richard Nixon, a caccia del secondo mandato nel 1972, perse esclusivamente il Massachusetts (con l’aggiunta del Distretto di Columbia, che è solo e sempre democratico).

Il medesimo livello fu raggiunto, perdendo il Minnesota (col Distretto), dal Reagan datato 1984.

Entrambi repubblicani, i due.

Nessuno, da allora ad oggi, altrettanto travolgente e impetuoso.

Fatto è che la situazione partitica si è andata assolutamente cristallizzando di recente, tanto che nelle ultime cinque tornate elettorali (2000, 2004, 2008, 2012 e 2016) trentotto Stati hanno votato sempre o democratico o repubblicano.

Così stando le cose, esistendo ‘appartenenze’ intangibili (salvo stravolgimenti non alle viste), i partiti sanno che non tutte le realtà locali, con i relativi Grandi Elettori, sono conquistabili.

Che si deve prendere atto della esistenza di un certo numero di, per l’uno e per l’altro, ‘unwinnable States’.

 

Un esempio concreto:

la California, il più popolato tra gli Stati e per conseguenza il maggiormente dotato quanto a Grandi Elettori (cinquantacinque) vota nelle Presidenziali democratico con maggioranze oceaniche.

È per i repubblicani certamente ‘unwinnable’.

Al punto da rinunciare a fare campagna colà o quasi.