USA: il quadro e le manovre possibili in vista delle elezioni

Il tema.

Quali e quanti gli Stati nei quali né Donald Trump né Hillary Clinton hanno raggiunto il 50 per cento dei voti popolari.

Perché e come è possibile in prospettiva 2020 – allorquando i cittadini saranno chiamati alle urne la cinquantottesima volta – intervenire.

La necessaria premessa.

Tutti i dati citati nel testo relativi alla consistenza numerica dei Grandi Elettori spettanti ai singoli Stati (non pertanto quelli complessivi federali) sono conseguenti il Censimento del 2010.

Possono mutare, se ed in quanto si siano verificati negli Stati significativi aumenti o diminuzioni proporzionali di residenti aventi diritto di voto, a seguito del prossimo ‘Census’ in programma, come in ogni anno con finale zero dal 1790, il prossimo 1 aprile 2020.

Il testo.

Lo sapete, Maine e Nebraska a parte (la legge che regola la materia è statale e non federale), i Grandi Elettori spettanti ad ogni Stato (pari al numero totale dei Congressisti – Senatori più Rappresentanti – ai quali i territori hanno singolarmente diritto), Grandi Elettori votati dal 1848 (in precedenza i seggi erano aperti per oltre un mese, dal 1792 comprendente sempre novembre) ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile’, ai quali, essendo l’elezione Presidenziale ‘di secondo grado’ (non diretta), salvo casi particolari (è occorso solo nel 1824 che la competenza sia passata alla Camera), spetta la nomina dell’inquilino di White House ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo dicembre’, vengono attribuiti col metodo ‘winner takes all’ assoluto.

Il candidato cioè vincente in ogni Stato (Maine e Nebraska, ripetiamo, esclusi) sulla base dei voti popolari si vede assegnare tutti i delegati al Collegio Elettorale ai quali lo Stato stesso ha diritto.

Questo a prescindere dal fatto che abbia superato il cinquanta per cento dei voti espressi (nella circostanza, se cioè ottenesse tutti i consensi solo superando la maggioranza assoluta e non semplicemente classificandosi primo, si applicherebbe il ‘winner takes all’ relativo come avviene spesso per la scelta di delegati Repubblicani alla Convention partitica, ma questo è un differente ‘gioco’).

Ogni volta, un notevolissimo numero di Grandi Elettori vengono conquistati localmente, quindi, con percentuali di voto superiori al competitore (ai competitori, invero, come vedremo, anche se il confronto dal 1856 resta sostanzialmente tra Repubblicani e Democratici) ma più basse della non richiesta maggioranza assoluta.

Ecco, per dare un’idea, gli Stati trovatisi in tale situazione nel 2016:

– Arizona, a Trump undici Grandi Elettori.

– Colorado, a Clinton nove.

– Florida, a Trump ventinove.

– (In elenco ma da non considerare il Maine, tre a Clinton e uno a Trump, avendo questo Stato, come detto, uno statuto particolare in materia).

– Michigan, a Trump sedici.

– Minnesota, a Clinton dieci.

– Nevada, a Clinton sei.

– New Hampshire, a Clinton quattro.

– New Mexico, a Clinton cinque.

– Pennsylvania, a Trump venti.

– Utah, a Trump sei.

– Virginia, a Clinton tredici.

– Wisconsin, a Trump dieci.

Dodici gli Stati effettivamente in questione.

Novantadue i Grandi Elettori attribuiti al repubblicano.

Quarantasette alla democratica.

Considerando che per vincere ne occorrono duecentosettanta al minimo, una notevolissima fetta.

Come mai questo accade?

Perché, contrariamente a quanto tutti credono, come incidentalmente già accennato, i Partiti in lotta e i candidati non sono affatto solamente due.

A parte quelli comunque presenti dei Partiti ‘minori’ (ai nostri giorni, in specie, a livello nazionale, i Libertariani e i Verdi), vanno considerati gli a volte numerosi pretendenti indipendenti ‘locali’ (Evan McMullin, nella circostanza 2016, nello Utah, ha superato il ventuno per cento!) che incidono.

Anche in modo decisivo.

(Nel 2000, il Verde Ralph Nader impedì certamente a Al Gore di vincere in Florida e gli sottrasse la Presidenza andata con i Grandi Elettori locali a George Walker Bush).

Impossibile, ovviamente, vietare ai ‘terzi’ di presentarsi (anche a tale riguardo le disposizioni per essere ammessi al ‘ballot’ sono statali).

Una calcolata regia può però certamente funzionare al riguardo.

Per dire, per fornire un esempio, se sempre nel 2016 nel Michigan – laddove i Democratici persero i sedici Grandi Elettori (sedici in meno da una parte e in più dall’altra vuol dire trentadue!) per meno di undicimila suffragi sugli oltre quattro milioni e mezzo espressi – un ‘terzo’ signore ‘oculatamente scelto’ (a lui concorrenziale a destra) e ‘aiutato’ avesse sottratto a Trump anche solo dodicimila voti…

E può alle volte straordinariamente bastare perfino solo l’intervento sull’elezione in una singola circoscrizione particolarmente incerta della Camera, per via del ‘trascinamento del voto’.

Ovvio che l’esempio del Michigan trumpiano per un pelo possa essere sostituito con quello del Minnesota, clintoniano per non molto di più.

Gli organi nazionali e statali dei Democratici e dei Repubblicani stanno certamente studiando le diverse situazioni (naturalmente anche quanto a territori nei quali pur avendo uno dei due superato il cinquanta per cento l’altro non era lontano: North Carolina, per dire).

Stato per Stato, circoscrizione per circoscrizione.

Altrettanto fanno i partiti ‘terzi’ per incidere laddove i precedenti e i sondaggi dicono possano farlo.

Per valutare se, dove e come intervenire.

Assolutamente affascinante, vero?

Le afferenti annotazioni.

I Grandi Elettori sono in totale cinquecentotrentotto pari al numero complessivo dei Congressisti: cento Senatori (non cento in assoluto per legge ma due per ciascuno Stato, secondo il dettato costituzionale, ed essendo oggi non da oggi cinquanta gli Stati…) e quattrocentotrentacinque Rappresentanti (consistenza determinata per legge) distribuiti proporzionalmente al numero degli abitanti quanti risultano dal decennale ricordato Censimento, ai quali vanno aggiunti tre delegati del Distretto di Columbia.

La maggioranza assoluta è pari pertanto a duecentosettanta.

Eletti Stato per Stato, formano il Collegio Elettorale cui spetta in verità la nomina del Presidente.

La votazione – è stato ricordato nel testo – dal 1848 in programma “il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre dell’anno coincidente con il bisestile” alla quale tutti guardiamo come quella che ‘elegge’ il Capo dello Stato USA in verità serve a nominare i predetti Grandi Elettori (territorialmente iscritti in una lista collegata al candidato), distribuiti anch’essi Stato per Stato, avendo ciascun territorio diritto a tanti Elettori quanti sono totalmente i suoi Congressisti.

Come si dice nel testo, il citato Collegio Elettorale si riunisce, sempre Stato per Stato (come si va qui ripetendo all’infinito relativamente a molte incombenze) nella capitale e provvede alla effettiva nomina del Presidente.

Questo, per legge, “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo mese di dicembre”.

A parte alcune possibili defezioni o mutamenti di opinione in sede di Collegio (non tutti gli Stati obbligano i propri Elettori a mantenere l’impegno preso e consentono quindi deviazioni peraltro finora mai influenti), a questo punto i giochi sono fatti.

Unica eccezione (non solo teorica: si è concretizzata la fattispecie nel pure citato 1824) nell’ipotesi in cui, essendo tre o di più i candidati capaci di conquistare Stati e per conseguenza Grandi Elettori, nessuno tra questi abbia raggiunto la predetta maggioranza assoluta.

Ciò constatato, la competenza passa alla Camera dei Rappresentanti che sceglie tra i primi tre classificati e nella quale il voto di ciascuno Stato conta uno.

(Si noti che nella particolarissima situazione, mentre il ‘peso’ elettorale della California – il più popolato degli Stati – nel Collegio è pari oggi a cinquantacinque e quello degli Stati meno popolati in assoluto a tre tutti gli altri in mezzo in proporzione, alla Camera nella votazione definitiva le differenze quantitative si annullano per cui la spopolata Alaska vale quanto l’infinitamente più affollato Golden State).

Può anche accadere (come nel 1836) che a non ottenere la maggioranza assoluta degli Elettori sia il candidato Vice Presidente.

Provvede, allora, il Senato, ma qui il voto dei componenti il consesso è individuale.

E’ utile infine ricordare.

Si vota dal più volte indicato 1848, a seguito di una legge del 1845 (e tranne le prime elezioni svoltesi a cavallo tra 1788 e 1789 si è comunque sempre votato per un periodo comprendente il penultimo mese dell’anno perché agricoltori e allevatori, massimi componenti la allora società, in quel mese e dintorni erano relativamente più liberi dal lavoro) “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre” del bisestile per due ragioni.

Liquidiamo prima la questione ‘anno bisesto’: semplicemente le seconde votazioni ebbero luogo nel 1792, anno cotale, ed essendo il mandato quadriennale la coincidenza permane e permarrà.

Poi, non di domenica essendo quello il giorno riservato al Signore.

Non di lunedì dovendosi comunque ritagliare un tempo minimo per gli spostamenti ai seggi, non distribuiti come oggidì ovunque.

Pertanto di martedì.

Non però semplicemente ‘il primo martedì’ perché potrebbe coincidere (e nel 2016 accadeva) con Ognissanti, festività religiosa da rispettare.

Quindi “il primo martedì dopo il primo lunedì”.

Va sottolineato che, a parte la data definita come ora detto nel 1845 e a valere dal 1848 in poi, il sistema elettorale USA è, per quanto riguarda le Presidenziali, invariato dall’Emendamento in merito del 1804 che ha introdotto il ticket nelle prime quattro elezioni non previsto, la qual cosa provocava problemi non da poco.

Una doverosa (conseguente a quanto sopra accennato nel testo) specificazione: l’impianto generale, non l’attribuzione dei Grandi Elettori potendo gli Stati deviare dal ‘winner takes all’ assoluto come hanno relativamente di recente fatto Maine e Nebraska che hanno diviso il loro territorio in distretti.

Fondamentale.

Come tutti sanno, Donald Trump è diventato Presidente degli Stati Uniti nel 2016 prendendo su base federale quasi tre milioni di voti popolari meno di Hillary Rodham Clinton.

(Era accaduto altre volte in precedenza sia pure per numeri meno eclatanti).

Fatto è – dato assolutamente imprescindibile – che gli USA sono uno Stato Federale e che il voto popolare vale all’interno dei singoli territori che lo compongono e ne fanno parte.

A parte il fatto che una variazione del sistema attraverso un indispensabile Emendamento non ha alcuna possibilità di passare (dovrebbe infine essere ratificato da trentasette Stati su cinquanta ed è davvero impossibile che accada: perché mai i territori meno popolati dovrebbero rinunciare al proprio ‘peso’ elettorale e annullarsi?), dovesse ciò succedere tutto salterebbe.

Le campagne sarebbero condotte assai differentemente.

Gli stessi cittadini elettori si comporterebbero difformemente.

Spieghiamo esemplificando:

quanto alle campagne, nel 2016 (ma è valso e varrà in ogni circostanza col mutare nel tempo degli Stati che si spostano geopoliticamente), Donald Trump, sapendo perfettamente che in California (siamo ancora lì, ma dimostra) non avrebbe mai battuto Hillary Clinton (ha perso a valanga) ha praticamente limitato al massimo la propaganda colà.

Perdere per un voto popolare o per quattro milioni ottocentomila (come accaduto), ai fini della cattura dei cinquantacinque Grandi Elettori del Golden State è indifferente dato il pluri ricordato ‘winner takes all’ assoluto.

E d’altra parte la Signora Clinton non si è certamente dannata l’anima, che so?, nell’Idaho, in Wyoming, nei due Dakota, in Oklahoma.

Quanto al comportamento degli elettori, nel sistema dato, i Repubblicani californiani come i Democratici dell’Idaho avevano ben poca spinta ad andare a votare sapendo che i loro candidati nello Stato non potevano mai prevalere.

Decisamente maggiore sarebbe invece la voglia di esprimere la propria preferenza se il voto pesasse a livello Paese.

Infine.

Si è spesso usato il termine ‘territorio’ in luogo di Stato per evitare eccessive ripetizioni.

Va ricordato che il vocabolo ‘Territorio’ (da usare però con la iniziale maiuscola) stava ad indicare le terre mano mano acquisite in attesa che prima o poi diventassero Stati entrando nell’Unione.

Il termine ‘Elettori’ con la iniziale maiuscola è riferito esclusivamente ai delegati degli Stati che comporranno il Collegio incaricato di nominare effettivamente l’inquilino della Casa Bianca.

Il sistema di selezione dei candidati dei partiti attraverso Caucus, Primarie e infine Convention non è né potrebbe essere regolato federalmente essendo materia interna ai movimenti politici.

Tale meccanismo si è andato formando nel tempo.

Ma questa è un’altra storia!