USA, sondaggi farlocchi. Le gravi responsabilità dei media

Se i media in genere non riportassero acriticamente, molto spesso per ragioni ideologiche (quando non per interesse) i risultati dei sondaggi elettorali USA evidentemente farlocchi, i partiti li commissionerebbero ancora? 

Ne diffonderebbero i risultati?

Da sempre, praticamente da quando Gallup (nel 1936) cominciò ad effettuare sondaggi dedicati alle campagne per White House, i partiti USA (non che altrove le cose vadano diversamente ma il sistema americano offre delle possibilità in altri Paesi non presenti e si guardi alle liste elettorali) hanno pensato a come sfruttare il nuovo strumento ai propri fini.

Da molti anni, in verità e conseguentemente, i sondaggi – e perfino gli exit polls – altro non sono che un mezzo di propaganda (mascherato, ma neanche tanto) puro e semplice.

Questo anche in ragione del fatto che non pochi istituti tra quelli più noti sono in effetti ‘vicini’ (vicinissimi) ai partiti, peraltro, ovviamente, non in modo dichiarato (solo alcuni tra gli addetti ai lavori conoscono tali evidentemente condizionanti collegamenti).

Ora, supponiamo – uno dei mille esempi – che un istituto voglia far risultare che in Ohio (Swing State di importanza capitale) Hillary Clinton sia in vantaggio su Donald Trump di dieci punti (cinque, dodici, come si vuole).

Basta dare una buona occhiata alle liste elettorali dello Stato e intervistare ‘oculatamente’ gli iscritti.

Ovviamente, abbondando in democratici e limitandosi quanto a repubblicani.

Al limite, nel caso della campagna in corso, dando voce anche a libertariani e verdi, sempre a scapito dei GOP.

Quanto agli exit polls, vengono usati nel giorno elettorale – dai democratici, occorre dirlo – in questo modo.

I seggi della costa atlantica, per ragioni di fuso orario, chiudono prima degli altri.

La California pacifica, quindi e per esempio, tre ore dopo il New York.

Ebbene, non appena terminate le votazioni ‘atlantiche’, si esce con exit polls che, proiettati a livello nazionale, attestino la vittoria del candidato che si appoggia. 

Il fine è quello di scoraggiare gli elettori del candidato rivale degli Stati dove ancora si vota.

Inutile che corrano al seggio se i giochi sono fatti, no?

(In cotal modo operò – ma gli andò male – Zogby nel 2004 dichiarando subito che Kerry aveva vinto.

Ero in quel momento in diretta al TG 2 e subito denunciai il fatto).

Tutto ciò detto, considerato inoltre che i sondaggi su base nazionale USA sono pochissimo attendibili sia perché gli addetti intervistano numeri piccolissimi di elettori sia perché in America conta il suffragio Stato per Stato, ci si torna a chiedere perché mai i media diano così tanto rilievo agli illustrati sondaggi.

Solo perché sono sempre e costantemente in favore oggi di una donna e ieri di un nero, cosa estremamente politically correct?

O c’è altro e di più?

P.S. Giorno verrà, ed è prossimo, nel quale i democratici candideranno un transgender diventato donna, nero, ispanico e su una sedia a rotelle.

Vincerà, con l’entusiastico appoggio della stampa mondiale, a mani basse.

Non sarà neanche necessario conoscerne il nome.

Figuriamoci le reali capacità.

Evviva!