La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

“Avversari? Inesistenti!”

Intervista alla CBS.

“Non vedo tra gli avversari democratici finora dichiaratasi nessuno che possa anche solo infastidirmi!”

Così, fuori dai denti, Donald Trump.

Un attimo prima, altrettanto seccamente, su Nancy Pelosi.

“… è molto negativa per il Paese…

Non le interessa minimamente il traffico di esseri umani altrimenti non si opporrebbe ai fondi per il muro con il Messico…

Sa che abbiamo bisogno di una barriera al confine, sa che abbiamo bisogno di sicurezza, ma vuole una vittoria politica…”

Certo, dopo dichiarazioni di tal fatta, sarà difficile che entro il 15 febbraio la questione shutdown non riprenda virulenza.

La ‘giovinezza’ di Walter Mondale

Ha da poco (il 5 gennaio scorso) compiuto novantuno anni Walter Mondale.

Uomo politico ai suoi tempi (incredibilmente lontani) di peso, è stato giovane.

Una ovvietà, questa.

Ma è la allora sua ancora non avanzata età che gli tarpò le ali nel momento più importante della carriera.

Già (e per non ricordare altro) Vice Presidente con Jimmy Carter, ottenne la nomination democratica nel 1984.

Regnava all’epoca a Washington Ronald Reagan.

Uno ‘sgarzoncello’ di settantatre anni.

Un osso duro da masticare.

L’uomo del Minnesota contava la bellezza di diciassette primavere in meno.

Molto faceva affidamento su tale differenza d’età e intendeva denunciare – tasto debole – la vecchiezza del rivale.

Mai un candidato a White House era stato tanto anziano.

Era ora di mandare in pensione il buon Ronnie, si preparava a dire.

Sapete, si fanno i dibattiti televisivi tra i candidati dal 1960, da Kennedy/Nixon.

E il 21 ottobre 1984 davanti alle telecamere e alla Nazione ecco Reagan e Walter.

Fosse preparata o meno la domanda in fondo ovvia , certo era pronta la risposta.

Il moderatore chiede al Presidente in cerca di conferma se non sia troppo in là con gli anni.

“Non intendo approfittare in questo dibattito della giovanile inesperienza del mio rivale”, da consumato attore pronunciata, la replica che fa ridere tutti.

Tutti, Mondale compreso.

E questo è il guaio.

Vista, rivista migliaia di volte la naturale e complice risata di Walter lo brucia.

È consapevole il Nostro di essere di fronte a un Maestro e della sconfitta che lo attende.

Mancano pochi giorni al fatidico 6 novembre.

Giorni dominati dalla battuta di Ronnie.

Non che tutto sia dispeso allora solo dal narrato evento.

No.

Notevole, rimarchevole però il suo effetto.

Risultato?

Cinquecentoventicinque ‘Grandi elettori’ per il repubblicano.

Tredici per il democratico.

(Solo il natio Minnesota e Washington D.C. a suo favore).

La più grossa batosta elettorale della Storia.

Non sappiamo oggi chi affronterà Donald Trump nel novembre del 2020.

Magari, un anzianotto come lui.

Fosse più giovane, però, si ricordi del, tenga nel dovuto conto il trascorso.

Di tutta e provata esperienza, non basta essere più giovani!

Il Senato contro Trump

Non butta bene per Donald Trump se uno schieramento bipartisan di sessantotto Senatori (la maggioranza dei quali, cinquantatre su cento, sono GOP) vota contro la sua decisione di ritirare le truppe americane dall’Afghanistan e dalla Siria.

Per di più, approvando un emendamento presentato niente meno che dal leader dei Senatori repubblicani (repubblicani!) Mitch McConnell.

Il testo si oppone totalmente nelle valutazioni ai desiderata del Presidente sostenendo che Isis e Al Qaida costituiscono ancora una seria minaccia per Washington e che un ritiro definito “precipitoso” può consentire ai due gruppi terroristici di riorganizzarsi.

D’altra parte, la decisione di Trump aveva portato alle dimissioni del capo del Pentagono, il generale James Mattis.

Mala tempora currunt.

Il trattato sulle armi nucleari

Tanto tuonò che piovve.

La voce correva da giorni ed ecco che si è concretizzata.

Il Segretario di Stato USA Mike Pompeo ha ufficialmente annunciato che gli Stati Uniti si ritirano dal Trattato sulle armi nucleari (INF) per il controllo delle stesse firmato da Ronald Reagan e Michail Girbaciov nel 1987.

La conclusione del Trattato in questione – non rispettato dai russi secondo l’amministrazione Trump – è considerata una pietra miliare sulla strada che condusse alla fine della Guerra Fredda.

Vladimir Putin ha in questi giorni avvertito Washington del pericolo che la decisione nell’aria avrebbe fatto nascere.

Quello di una nuova corsa al riarmo.

Vedremo.

Certo è che l’accordo resta comunque in vigore sei mesi e v’è tempo e spazio per rinegoziare in merito.

Reddito di cittadinanza per gli USA?

È stata l’apparizione nelle primarie del 2016 di Bernie Sanders nelle fila democratiche a sdoganare definitivamente la parola.

Uno sdoganamento estremamente significante perché fino a non poi molti anni fa negli States dare del ‘socialista’ a qualcuno equivaleva ad insultarlo e a relegarlo ai margini dell’agone politico.

Il, lento dapprima e poi sempre più rapido, declino degli ‘White, Anglosaxon, Protestant’ (‘Wasp’, ovviamente) e il contemporaneo affermarsi di differenti etnie, quelle latino americane in specie ma non solo…

il convincimento, prima alquanto latitante, tra i neri della necessità di recarsi ogni volta più numerosi alle urne…

l’azione per qualche verso socialisteggiante della amministrazione Obama…

le posizioni ‘politicamente corrette’ sempre più dilaganti…

starei per dire, l’aria che tira…

permettono in questa stagione politica – per quanto forze in opposizione si organizzino – di proporre al popolo americano riforme, in ogni campo ed altresì in quello sociale, definibili come ‘europee’.

(E non si dimentichi che quanti arrivarono in America e soprattutto quanti diedero vita agli Stati Uniti erano andati via dal Vecchio Continente per sfuggirne leggi e consuetudini cercondone e trovandone di differenti e spessissimo opposte in particolare nel campo etico/sociale).

È quindi comprensibile che uno dei (mille) candidati alla nomination democratica – un certo Andrew Yang, non meglio identificato come “imprenditore” nuovaiorchese – sia arrivato a proporre nientemeno che il famigerato ‘Reddito di cittadinanza’ per i cittadini americani.

Di questo signore si perderanno presto le tracce e per il momento anche di questa sua proposta come detto ‘europea’.

Per il momento perché il declino della ‘Vecchia America’ potrebbe portare (porterà) ad infliggere anche tale ‘ferita’ all’anima yankee vie più minoritaria.

Stati Uniti e Venezuela

Non è la prima volta che la Presidenza USA si interessa attentamente al Venezuela.

Capitò difatti già nel 1895 e anni successivi a seguito della dura contrapposizione tra la Gran Bretagna e il Paese con capitale Caracas.

Contrasto derivante dalla determinazione dei confini tra la British Guyana e l’ex colonia prima tedesca e dipoi spagnola.

Sulla base della ‘Dottrina Monroe’ l’intervento americano che portò agli accordi conseguenti firmati in Parigi nel 1898.

Tutto un differente ambito.

E d’altra parte oggi, contro Nicolas Maduro come sarebbe possibile invocare la citata ‘Dottrina Monroe’?

Il mandato unico

Vecchia storia.

Si dice che in verità il Presidente USA governi liberamente solo diciotto mesi.

I primi.

Dall’insediamento alla metà circa del secondo anno di mandato.

Dopo, iniziano i condizionamenti.

Sì avvicinano le Mid Term Elections e bisogna operare ‘opportunamente’ per evitare tracolli elettorali al proprio partito.

Accordi.

Mediazioni.

Assoggettamenti.

Dopo le Mid Term, il secondo biennio è del tutto dominato dalla necessità assoluta di essere confermato.

Di non finire nell’elenco triste dei bocciati dagli elettori.

Quindi e pertanto, massima attenzione ai sondaggi e insomma una azione governativa comunque da ‘anitra zoppa’.

Azzoppata non a seguito (come peraltro occorre non poche volte) di una sconfitta che abbia creato maggioranze congressuali avverse ma da comportamenti assolutamente frenati e spesso contraddicenti le promesse fatte.

Il secondo quadriennio quando ottenuto?

Quasi sempre in tono decisamente minore.

Già convinti della opportunità di limitare per tali forti motivi i mandati a uno e uno soltanto erano nella prima metà dell’Ottocento i ‘Wighs’, partito seriamente in lotta per la Presidenza grosso modo a partire dalla tornata elettorale del 1836.

Due i Capi di Stato Whigs effettivamente eletti: William Harrison nel 1840 e Zachary Taylor nel 1848.

Tutti e due morirono in carica entro breve (Harrison brevissimo: un solo mese) tempo dall’insediamento.

Rispettarono assolutamente in cotal modo le idee del partito di appartenenza al riguardo.

Candidati in passerella

“Ecco a voi il candidato nero”.

Applausi.

“Quella che sarà la prima donna a White House”.

Deliri.

“Segue il candidato gay”.

Adesioni.

“E che dire del candidato di ascendenze pellirosse?

Eccolo”.

Consensi.

“Mr X, l’esponente dei ‘latinos’”.

‘Ovaciones y aplausos’.

Mancano, per ora, nella passerella – una sfilata con tanto di annunciatore – dei candidati solo il pretendente handicappato e quello veramente imbattibile, il gay nero e handicappato!

Mai che presentandoli i media ci dicano se non di sfuggita quali competenze e capacità abbiano.

Il trionfo del politicamente corretto e la fine della politica.

Peter ‘Pete’ Buttigieg

Verrebbe da dire: “Poteva mancare il candidato democratico dichiaratamente gay?”

Ovviamente, no.

Ed ecco, quindi, a colmare la lacuna, il giovane sindaco di South Bend, Indiana, Peter ‘Pete’ Buttigieg.

Laureato ad Harvard, ex militare, amministratore locale capace, se eletto – a prescindere dall’appartenenza omosessuale che in verità dovrebbe passare in secondo piano contando in questo ambito le capacità dei candidati – sarebbe il più giovane Presidente della storia.

Avendo in questo momento appena compiuto i trentasette anni, ne conterebbe trentanove il 20 gennaio 2021 giorno del prossimo insediamento.

(Per inciso: il limite minimo previsto dalla Costituzione è di trentacinque anni; il più giovane in carica è stato Theodore Roosevelt subentrato non ancora quarantatreenne all’assassinato William McKinley; il più giovane eletto è John Fitzgerald Kennedy, entrato in carica prima del compimento del quarantaquattresimo compleanno).

Il candidato indipendente

“Repubblicani e Democratici sono impegnati solo in ripicche politiche e non fanno il bene del Paese”, così, preannunciando l’intenzione di correre per la Casa Bianca come indipendente su posizioni centriste l’ex ceo di Starbucks Howard Schultz.

Sta in verità ancora riflettendo in merito Schultz, la cui discesa in campo potrebbe riproporre a distanza di ben oltre vent’anni l’avventura di un altro miliardario che corse da indipendente, il texano Ross Perot.

Si era nel 1992.

A White House siede apparentemente imbattibile nella ricerca di un secondo mandato il repubblicano George Herbert Bush.

In lotta per la nomination democratica, tra molti, un giovane Governatore dell’Arkansas, Bill Clinton.

E appunto un ricchissimo texano decide di puntare fuori da ogni partito allo scranno presidenziale.

Non vince, lo sappiamo.

Ma raccoglie addirittura il diciannove per cento del voto popolare determinando – dicono molti analisti – la defenestrazione del GOP a favore del giovane Bill.

(Il riferimento è al Perot del 1992 e non a quello di quattro anni dopo, quando ci riprovò ma alla testa di un terzo movimento, il Reform Party).

Difficile pensare che davvero Howard Schultz sia in grado di ottenere grandi risultati da indipendente.

Pressoché impossibile che riesca ad avere il successo del primo Ross Perot.

(Ho appena scritto “pressoché impossibile” dimenticando che invece nella sfida per la Casa Bianca nulla è davvero impossibile come lo stesso Donald Trump ha dimostrato).