Il 4 luglio 1776? Ma davvero?

Il 4 luglio del 1776 non è la data nella quale le colonie videro riconosciuta la loro esistenza.
Accadde difatti il 3 settembre 1783 a Parigi, quando fu firmato il Trattato che poneva fine alla Guerra di Indipendenza.
Il 4 luglio 1776 non ricorda l’inizio della Guerra di Indipendenza in effetti cominciata il 19 aprile 1775, con la battaglia di Lexington.
Il 4 luglio non è data che riguardi la Costituzione americana che fu definita il 17 settembre 1787, ratificata da un sufficiente numero di Stati il 21 giugno 1788 ed entrò in vigore il 4 marzo 1789.
Non è neppure la data nella quale il Congresso Continentale voto all’unanimità la separazione dalla Gran Bretagna.
Cosa accaduta il 2 luglio 1776, due giorni prima.
È il giorno nel quale il testo concordato fu reso pubblico.
È questo talmente vero che John Adams – uno dei Founding Fathers, poi primo Vice Presidente e successore di Washington – indirizzando la lettera alla moglie Abigail, letteralmente scriveva:
‘Il secondo giorno di luglio del 1776 sarà l’evento più memorabile della storia dell’America…’
Così va il mondo.

18 febbraio 2024

America? Perché

Matthias Ringmann, ovvero Philesius Vogesigena – come volle chiamarsi – umanista, cartografo ed erudito e Martin Waldseemuller, cartografo.
È a questi due eminenti studiosi tedeschi operanti tra Quattrocento e Cinquecento che dobbiamo la denominazione del Quarto Continente.
Ringmann ebbe modo di conoscere e divulgare la relazione composta da Amerigo Vespucci reduce dal suo terzo viaggio oltre oceano (1501-1502) e inviata dal navigatore a Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, mecenate e cugino del Magnifico.
È leggendo queste invero brevi note che ebbe a verificare come appunto il Vespucci fosse stato il primo, tra quanti erano arrivati in quelle terre, ad esseri reso conto di costeggiare ed esplorare non una parte d’Asia ma un nuovo e diverso Continente.
Per questo, allorquando più tardi, con altri, pubblicherà una nuova edizione della ‘Geografia’ di Claudio Tolomeo recante una introduzione (‘Cosmographiae introductio’, edita il 25 aprile 1507) di pregio, suggerirà all’illustre cartografo Martin Waldseemuller, autore della grande carta geografica del mondo colà inserita (‘Universalis Cosmographia’), di chiamare ‘America’ il Continente oltre Atlantico collocato.
Così sarà anche se dopo lo stesso Waldseemuller cambierà idea e nelle carte successivamente disegnate denominerà ‘Terra Nova’ quando non ‘Terra Incognita’ quelle bande.
Inutilmente, come si vede.

18 febbraio 2024

Medici (e giudici) democratici e medici (e giudici) repubblicani 

Il giudice di New York Arthur Engoron – che poco fa ha condannato Donald Trump per frode fiscale sanzionandolo dal punto di vista economico assai pesantemente (355 milioni!), per di più vietandogli l’esercizio di attività imprenditoriali nello Stato per tre anni – appartiene, guarda caso, al partito democratico.
Viene in mente il 30 marzo 1981, quando un attentatore prese di mira Ronald Reagan ferendolo gravemente.
Portato all’ospedale per un intervento chirurgico, il Presidente, cercando di alleggerire la tensione e nel contempo, invero, mettendo in campo un argomento non da poco, se ne uscì in una battuta sulla quale sorridere magari amaramente e comunque riflettere:
“Speriamo che il chirurgo sia repubblicano!”

17 febbraio 2024

Gerald Ford electoral story

Henry Kissinger – che fu suo Segretario di Stato e che bene lo conosceva – scrisse e pronunciò uno straordinario elogio funebre di Gerald Ford, dell’uomo che tutti consideravano relativamente poco e che d’altra parte, poco si considerava.
Prendo qui in esame la particolare, unica e inimitabile invero, sua carriera politica iniziata nel dopoguerra con l’elezione nel 1948 alla Camera e l’entrata in carica nel 1949.
Uomo assolutamente integerrimo, impeccabile e degno, Ford fu confermato senza colpo ferire ogni due anni (il mandato camerale è appunto biennale) fino alle votazioni del 1972.
A quel momento era (e da qualche anno) il leader della minoranza repubblicana nel consesso.
Parlando con la moglie, il Nostro aveva promesso di candidarsi un’ultima volta nel 1974 per poi lasciare la politica attiva.
Allorquando però il Vice Presidente in atto Spiro Agnew si dovette dimettere per scandali relativi al suo trascorso in Maryland, applicando per la prima volta il disposto dell’Emendamento approvato per porre rimedio alla vacanza del vicario, il Presidente Nixon si trovò a dovere indicare il sostituto dello stesso.
La nomina spettava sì al Capo dello Stato ma doveva poi essere ratificata dal Congresso in quel momento largamente in mano ai democratici.
Fu così lo Speaker di casa dem Carl Albert a dire a Nixon “non c’è altra scelta che Ford”.
Parlando con la moglie, Gerald ne aveva trovato il consenso:
“La Vice Presidenza”, gli aveva detto Betty, “è un modo davvero carino per chiudere!”
Era dicembre e correva il 1973.
Di lì a otto mesi, dimessosi anche Nixon (causa Watergate), il “modo davvero carino per chiudere” diventava la Presidenza.
È a questo punto che l’uomo di Omaha (i nati come Ford in questa città del Nebraska sono speciali, lo posso garantire) commise l’unico sbaglio di una giustamente fortunata carriera.
Avrebbe dovuto portare a termine il mandato ereditato e andarsene.
Non lo fece.
Lottò e perse.
Per la prima volta in vita sua fu sconfitto.
Non ebbe pertanto quel “modo davvero carino di chiudere” al quale la consorte aveva aspirato.

17 febbraio 2024

Come sorride Joe Biden, nessuno!

Come sapeva vincere Franklin Delano Roosevelt (quattro volte candidato alla Casa Bianca e quattro volte vincente), nessuno.
Come sapevano perdere Henry Clay e William Jennings Bryan (in tre circostanze in corsa per White House e sempre sconfitti), nessuno.
Come ha saputo risorgere Richard Nixon (battuto da Vice Presidente in carica nel 1960 e da candidato al Governatorato della California nel 1962, vinse nel 1968), nessuno.
Come seppe prevalere addirittura al trentaseiesimo ballottaggio ed essere infine eletto dalla Camera dei Rappresentanti Thomas Jefferson nel 1801 nessuno.
Come (ritenendo gli fosse dovuta la Nomination ed essendogli stata negata) affossò il proprio partito Teddy Roosevelt nel 1912, nessuno.
Come sono rimasti delusi (erano andati a dormire convinti di avere vinto e si sono svegliati sconfitti il primo nel 1916 e il secondo nel 1948) Charles Evans Hughes e Thomas Dewey, nessuno.
Come abbiano sovvertito le previsioni e i sondaggi (che li davano non sconfitti ma demoliti) affermandosi Harry Truman e Donald Trump, nessuno.
Come gli sia riuscito di vincere tre votazioni di seguito quanto a voti popolari a livello nazionale e nel contempo perdere per Elettori – con l’iniziale maiuscola per distinguerli data l’incombenza che hanno – quella di mezzo (governando quindi per due mandati non consecutivi) come Grover Cleveland, nessuno.
Come sia riuscito (non avendo alcuno raggiunto la maggioranza degli Elettori e arrivando secondo quanto al numero degli stessi conquistati) a John Quincy Adams di essere eletto dalla Camera dei Rappresentanti, nessuno.
Come abbia ricevuto per due volte (quelle nelle quali si candidò) il cento per cento dei voti degli Elettori come George Washington, nessuno.
Come sia stato costretto (entrando in politica e dato che la lingua che parlava in famiglia era l’olandese) a imparare l’inglese alla stregua di Martin Van Buren, nessuno.
Come sia arrivato in due consecutive occasioni alla Convention democratica con il maggior numero di delegati (ovviamente non la maggioranza assoluta) e non abbia ottenuto la Nomination al modo di William Gibbs McAdoo, nessuno.
Come Al Gore sia stato in grado (da Vice Presidente in carica alla ricerca dell’investitura) di vincere tutte le Primarie e ciascuno dei Caucus indetti dal suo partito per poi perdere l’elezione, nessuno.
Come abbia prevalso quanto a voto popolare (in un sistema che guarda agli Stati conquistati e non a tutto il Paese) nazionale di quasi tre milioni per risultare battuta al livello di Hillary Rodham Clinton, nessuna.
Come la stessa Clinton sia riuscita ad essere la sola ex First Lady e la sola donna arrivata alla Nomination di uno dei due partiti egemoni per poi perdere, nessuna.
Come sia capace di sorridere restando immobile, sostanzialmente distaccato, apparendo insieme presente e assente Joe Biden, nessuno.

17 febbraio 2024

Tra Biden e Trump i rischi del dopo elezioni 

Cosa succede se il 5 novembre Donald Trump sconfigge Joe Biden il quale resta comunque in carica fino a mezzogiorno del 20 gennaio seguente per settantacinque giorni e più?

Dalla seconda elezione presidenziale datata 1792, fino alla votazione del 1932 compresa, l’Insediamento del Presidente USA eletto ha avuto luogo il 4 di marzo dell’anno seguente. Si ricordava in questo modo l’entrata in vigore della Carta Costituzionale datata 4 marzo 1789.
Il periodo nel quale si aveva sostanzialmente la coesistenza di due Capi dello Stato – quello comunque in carica e l’eletto, ovviamente nel caso in cui fossero di due diversi schieramenti e non solo, inoltre, come più volte accaduto, invisi a dir poco l’uno all’altro – era molto lungo.
Troppo, si decise, ragione per la quale dalla tornata elettorale del 1936, con un apposito Emendamento, il Ventesimo, la cerimonia fu anticipata al mezzogiorno del 20 gennaio dell’anno dispari successivo.
Sono comunque settantacinque giorni e mezzo, non poco.
Troppo, se il Presidente ancora in carica per quanto defenestrato e l’eletto siano ai ferri non corti, cortissimi come oggi Joe Biden e Donald Trump, dovesse il secondo spodestare il primo.
Esiste un sistema – che ha già fatto acqua in precedenti non altrettanto conflittuali occasioni – che prevede il passaggio di consegne sostanzialmente governato da due commissioni che concordino lo svolgimento delle procedure, auspicabilmente, col miglior possibile fairplay.
Un orizzonte preoccupante con ogni probabilità quello che ci aspetta visto che nessuno dei due contendenti sembra poter avere nel caso un atteggiamento simile a quello di James Buchanan che accolse con estrema cortesia Abraham Lincoln dicendogli che si augurava fosse altrettanto contento il repubblicano di entrare nella stanza ovale quanto lui di lasciarla.
O come uscì di scena quel gran gentiluomo che fu George Herbert Bush, facendo trovare sulla scrivania a Bill Clinton che lo aveva battuto una lettera così composta:
“Caro Bill, proprio adesso, entrando in questo ufficio, ho provato la stessa sensazione di meraviglia e rispetto che avevo vissuto quattro anni fa.
So che la sentirai anche tu.
Ti auguro di essere felice qui.
Io non ho mai sofferto quella solitudine che altri presidenti hanno descritto.
Verranno momenti difficili, resi ancor più difficili dalle critiche che percepirai come sleali.
Non sono bravo a dare consigli; ma non lasciare che queste critiche ti scoraggino o che ti spingano fuori strada.
Quando leggerai questa mia nota tu sarai il nostro Presidente.
Ti auguro il meglio.
Auguro il meglio alla tua famiglia.
Il tuo successo adesso è il successo del nostro Paese.
Faccio il tifo per te.
Buona fortuna.
George”.

16 febbraio 2024

Credere nei sondaggi?

2016 a parte (guardando bene, le previsioni a livello nazionale non erano tanto sbagliate, prevedevano più voti per Hillary Clinton e così fu, solo che negli USA – lo dimenticano anche gli Americani – si vince nei singoli Stati e non nel Paese intero), si deve credere ai sondaggi?
In politica (non è, invero, che negli altri campi le cose siano molto diverse), credo sia opportuno seguire qualche ovvia (?!) indicazione.
Per cominciare, buona regola è guardare al passato: l’Istituto X, l’Istituto Y quali pregressi possono vantare?
Sbagliano spesso?
Non teniamone conto.
Poi, sono troppo ossequiosi nei confronti dei committenti?
Per quanto la cosa alla fine abbia scarso senso, in non pochi casi i risultati delle rilevazioni sono condizionati appunto dalla committenza e si tende a dare per meglio piazzato il partito che ha dato l’incarico.
Anche qui, dubitare e non tenere in considerazione.
Ancora, assolutamente necessario conoscere le posizioni politiche dell’Istituto stesso.
Ciò vale in particolare per gli exit polls che possono essere manipolati al fine di condizionare il voto degli Stati che chiudono dopo per via del fuso orario.
(Nel 2004, appena terminate le operazioni sulla costa atlantica, Zogby affermò che in base agli exit polls John Kerry aveva vinto.
L’intento era quello di fare in modo che i repubblicani degli Stati più ad occidente, ritenendo ormai battuto George Walker Bush, restassero a casa).
Ciò detto, di sondaggi la politica e i media USA per lunghissimo tempo vivono.
Occorre farsene una ragione.

16 febbraio 2024

Intenzioni di voto basate sulle caratteristiche demografiche

I dati che seguono sono stati elaborati tra il 30 settembre e il 5 ottobre 2020 e si riferiscono pertanto alla precedente elezione
Li indico comunque in attesa dei nuovi per dare in merito un’idea che in generale è ancora valida.
– tutti gli elettori: Biden guida 52 a 42
– uomini: Biden 49 a 45
– donne: Biden 55 a 39
– bianchi: Trump 51 a 44
– neri: Biden 89 a 8
– ispanici: Biden 63 a 29
– asiatici: Biden 75 a 22
– 18/29: Biden 59 a 29
– 30/49: Biden 55 a 38
– 50/64: Biden 49 a 47
– 65: 49 pari
– laurea primo livello: Biden 68 a 28
– laurea secondo livello: Biden 57 a 37
– laurea non finita: Biden 48 a 46
– diploma o meno: Trump 49 a 45
– laureati in totale: Biden 58 a 37
– non laureati in totale: Trump 60 a 34.

16 febbraio 2024

‘Faithless Electors’

Per definizione, è un Elettore ‘sleale’ (‘Faithless Elector’) il componente del Collegio Elettorale che il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre successivo alla propria elezione novembrina, chiamato a votare per il candidato al quale, conseguentemente al risultato verificatosi nelle urne nel suo Stato, è legato, si esprime differentemente.
Nel 2016, per dire, in sede di Collegio, tre suffragi andarono a Colin Powell, uno a testa a John Kasich, Bernie Sanders, Ron Paul e Faith Spotted Eagle.
Non tutti gli Stati consentono ai loro Elettori (iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni) di esprimersi come desiderano nella circostanza.
Alcuni lo vietano arrivando a sostituire i reprobi.
Altri multano i trasgressori.
Altri…
Sulla questione si interroga di questi tempi la Corte Suprema nella quale i pareri sembrano discordi.
Parte dei Giudici propenderebbero per lasciare assolutamente liberi i predetti mentre altri li vorrebbero obbligatoriamente costretti.
Nella storia, i ‘Faithless Electors’ riguardo alla Presidenza sono stati in totale centosessantacinque.
Il caso più eclatante (sessantatre in realtà niente affatto sleali ma costretti dagli eventi) si ebbe nel 1872 quando il candidato sconfitto a novembre Horace Greeley venne a morte prima della votazione collegiale.
Aveva Greeley conquistato sessantasei Delegati, tre dei quali lo votarono benché fosse morto, mentre gli altri dispersero le loro preferenze tra quattro differenti individui.
Qualcosa di non del tutto analogo ma insomma (il candidato – allora, alla Vice Presidenza – non era morto ma la delegazione della Virginia non lo appoggiò) – meno importante dal punto di vista numerico ma significativo certamente – si era verificato nella votazione collegiale nel 1836.
Unico nella storia tra i vicari, in applicazione di quanto disposto dal XII Emendamento, il desso fu dipoi eletto dal Senato.
Si chiamava Richard Mentor Johnson.

15 febbraio 2024

“Il” dibattito televisivo 1960 Kennedy/Nixon

Una delle convinzioni più radicate e false contro la quale è quasi impossibile lottare è quella relativa “al” dibattito televisivo del 1960 tra i due candidati alla Casa Bianca John Kennedy, democratico, e Richard Nixon, repubblicano.
In verità, i confronti tra i due furono quell’anno quattro.
E si pensi a quanto inchiostro (si sarebbe detto una volta) è stato usato da grandissime (?) firme per commentare quanto in effetti non assolutamente unico, non irripetuto.
Ogni qual volta, per collegamento, mi vengono in mente almeno due altrettanto granitiche differenti asserzioni:
“L”‘allunaggio (furono sette!).
“Il” viaggio di Colombo in America (quattro!).

15 febbraio 2024