Presidenziali del 1860

Si vota il 6 novembre e gli Elettori sono in totale trecentotre.
La maggioranza assoluta richiesta è pertanto pari a centocinquantadue.
È questa la diciannovesima volta che i cittadini vengono chiamati ad esprimersi per la Presidenza.
Il momento è davvero difficile e i contrasti interni al Partito Democratico sono durissimi.
La questione relativa alla schiavitù è la più importante sul tappeto e si pensi che nell’intervallo tra il precitato 6 novembre e il 4 marzo 1861, giorno dell’insediamento del vincitore, ben sette Stati del Sud si dichiararono secessionisti.

Il Partito Repubblicano, Gran Old Party come verrà chiamato, fondato nel 1854 con l’intento primario di debellare la schiavitù, aveva vinto le Mid Term Elections del 1858 e presenta candidato Abraham Lincoln.

I democratici, avendo Buchanan rinunciato ad un secondo ipotetico mandato, come detto in grave crisi interna e in difficoltà nel Paese, si dividono tra Sudisti e Nordisti e propongono due aspiranti, il Vice Presidente in carica John Breckinridge e il Senatore dell’Illinois Stephen Douglas.

Nasce un altro movimento nazionale che avrà vita breve: è il Constitutional Union Party, che propone per White House il Senatore del Tennessee John Bell.

L’esito elettorale – che vede il vincitore, classico ‘presidente di minoranza’, prendere un numero inferiore di voti popolari rispetto ai rivali uniti (e se è per questo, anche solo alla somma dei suffragi andati ai due democratici) – è il seguente:
Abraham Lincoln, diciotto Stati e centoottanta voti al Collegio
John Breckinridge, undici Stati e settantadue Elettori
John Bell, tre Stati e trentanove delegati nazionali
Stephen Douglas (in termini di voto popolare secondo dopo Lincoln) un unico Stato e solo dodici voti elettorali.

Annotazioni
Per inciso, va qui ricordato che nel 1912, anno nel quale Wilson riporterà i democratici a White House (le parentesi Cleveland essendo meno significative), per contrappasso a quanto accaduto nel 1860, furono i repubblicani a dividersi e a permettere al candidato dell’Asinello di prevalere pur ottenendo un numero di suffragi popolari nettamente inferiore a quello conquistato dai due GOP (considerando ovviamente il movimento costituito nella circostanza da Teddy Roosevelt tale) sommati.

9 marzo 2024

Voti popolari ricevuti negli Stati da Biden e Trump nel Super Tuesday

1 Alabama

Biden 167.165
Trump 497.739

2 Arkansas

Biden 71.888
Trump 204.664

3 California

Biden 1.642.028
Trump 1.081.736

4 Colorado

Biden 468.705
Trump 535.858

5 Maine

Biden 58.679
Trump 73.855

6 Massachusetts

Biden 504.387
Trump 326.957

7 Minnesota

Biden 171.277
Trump 232.827

8 North Carolina

Biden 606.302
Trump 790.750

9 Oklahoma

Biden 66.824
Trump 254.688

10 Tennessee

Biden 122.321
Trump 446.095

11 Texas

Biden 608.099
Trump 1.803.530

12 Utah

Biden 53.744
Trump 42.634

13 Vermont

Biden 56.906
Trump 36.030

14 Virginia

Biden 306.936
Trump 435 978

Nelle Samoa Americane e in Iowa non erano in competizione i repubblicani

8 marzo 2024

Presidenziali del 1856

Si va alle urne il 4 novembre.
Duecentonovantasei i delegati al Collegio e centoquarantanove la maggioranza da raggiungere.
Grande incremento di elettori (comuni e pertanto con l’iniziale minuscola): vota il settantotto e nove per cento degli aventi diritto, il nove e tre in più della volta precedente.

Tre i movimenti politici in lotta.
Il Partito Democratico si riunisce a Cincinnati.
L’American (emanazione del Whig e dipoi dissolto nel 1860) a Philadelphia.
Debutta il Partito Repubblicano.

Fondato due anni avanti avendo come primo punto del programma l’abolizione della schiavitù (non se ne parla mai, ma chiedeva anche che ai Mormoni fosse vietata la poligamia), il futuro GOP – verrà così denominato più avanti essendo GOP l’acronimo di Grand Old Party – si riunisce a sua volta in Convention a Philadelphia.
Incorona l’esploratore John Frémont – uomo che Maldwyn Jones definisce “di magnifico aspetto”, questa essendo a modo di vedere dello storico la sua essenza politica (!?) – che riesce a prevalere sul Giudice John McLean, sul Senatore del New York William Seward, sul Governatore dell’Ohio Salmon Chase, sull’altro Senatore Charles Sumner, del Massachusetts.
Da notare che nella corsa verso la candidatura alla Vice Presidenza un certo Abraham Lincoln viene sconfitto dal Senatore del New Jersey William Dayton!

Nell’Asinello, escluso William Marcy, in lizza gli stessi uomini politici già presenti quattro anni prima.
Stavolta, Pierce deve lasciare e alla fine prevale James Buchanan che può contare sul fatto che essendo stato negli ultimi anni Ambasciatore in Gran Bretagna non risulta coinvolto nelle lotte intestine in specie dell’ultimo biennio.

Veramente eccezionale quanto accade nel novello movimento battezzato American.
Dalla Convention esce a furore di popolo il nome dell’ex Presidente Millard Fillmore che viene nominato a sua completa insaputa visto che è in viaggio in Europa.
Tornato a giugno negli Stati Uniti, sarà obbligatoriamente un candidato di secondo piano.
Fra l’altro, per questa decisamente particolare situazione, resta nella storia USA come il primo tra i Vice Presidenti subentrati causa mortis al titolare (a fianco di Zachary Taylor nel ticket Whig nel 1848, era entrato a White House nel 1850) ripresentatosi personalmente – peraltro non immediatamente dopo avere lasciato lo scranno come farà inaugurando una serie Theodore Roosevelt nel 1901 – nonché il primo sconfitto tra questi.

Il risultato elettorale dice:
James Buchanan, Presidente avendo vinto in diciannove Stati e conquistato centosettantaquattro Elettori (con l’iniziale maiuscola).
John Frémont – sconfitto ma certamente con onore – vittorioso in undici Sati e votato al Collegio da centoquattordici delegati.
Millard Fillmore, lontano, vincente in un unico Stato e accreditato di soli otto Elettori.

Annotazioni
Frémont adottò un efficace slogan: “Free soil, Free speech, Free men and Frémont”.
Nel successivo 1864, non ancora decisa la Guerra di Secessione, in dubbio se riproporre Lincoln, il Partito repubblicano pensò per un attimo ancora al gagliardo esploratore che non pochi intendevano mettere in campo in luogo e vece del Presidente.
L’improvviso volgere del conflitto a favore del Nord fece rientrare tali propositi.

Quanto a Buchanan, è il solo Presidente scapolo (Cleveland lo era al momento della prima entrata a White House ma si sposò) e il più chiacchierato per le sue ‘amicizie’ particolari.

8 marzo 2024

Quando il Texas corse il rischio di tornare messicano

7 novembre 1916.
Si dubita in merito, ma Woodrow Wilson vince le Presidenziali e ottiene un secondo mandato.
4 marzo 1917.
Conseguentemente, di bel nuovo si insedia.
6 aprile 1917.
Gli Stati Uniti dichiarano ufficialmente guerra alla Germania.
È in questo lasso di tempo che i tedeschi – prospettandosi appunto l’ingresso degli Americani (del resto, abbondantemente provocati) nel conflitto – cercano di ottenere, esplicitandolo a febbraio 1917, il conforto del (se non una vera alleanza col) Messico.
Si tratta – guardando ai contenuti dell’iniziativa – di un inaccettabile attacco al dettato della cosiddetta Dottrina Monroe.
Quale difatti la contropartita fatta intravedere ai Messicani?
Nientemeno che una riappropriazione – a distanza di oltre ottant’anni, visto che si era reso indipendente nel 1836 – del Texas, quasi che ad Alamo e a San Jacinto non si fosse combattuto.
E non invero solamente dello Stato della Stella Solitaria dato che dei “territori perduti” (in cotal modo definiti) e recuperati avrebbero fatto parte anche New Mexico e Arizona.
Pesa oggi il Texas la bellezza di quaranta Elettori (iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni perché loro specifico compito è nominare il Presidente).
Ne pesava trentadue e poi trentaquattro nel 2000 e nel 2004.
Allora, non fosse stato della partita perché messicano, le elezioni le avrebbero vinte Al Gore e John Kerry (essendo peraltro il secondo certamente escluso dalla Nomination se davvero Gore, vincente quattro anni prima, si fosse, come normalmente accade, ricandidato).
La storia con i se e con i ma!

8 marzo 2024

Gli ‘orfani’ di Nikki Haley e la possibile “traversata del deserto”

Cosa farà il 5 novembre prossimo il ventisette per cento degli elettori che nelle finora portate a termine votazioni primarie hanno votato Nikki Haley?
Una parte consistente (assai probabilmente di tale portata anche negli Stati che non si sono finora espressi) questa del novero non solo dei repubblicani (di certo, dove le regole locali lo permettevano, non pochi indipendenti e qualche democratico si erano dichiarati suoi sostenitori).
Immediate, naturalmente, le rilevazioni sondaggistiche in proposito con risultati discordi.
La CNN conclude affermando che l’ottanta per cento non si esprimerà comunque per Donald Trump (l’ex Ambasciatrice non ha assolutamente dato indicazioni cotali e detto al contrario che il tycoon dovrà meritarsi quei voti evidentemente dubitando che ne sia capace) aggiungendo che i due terzi di costoro non lo ritengono adatto a ricoprire l’incarico.
Quinnipiac University invece conclude che la metà di questi ‘orfani’ finirà per votare Trump e poco meno del quaranta per cento addirittura Biden.
Comunque sia, il panorama cambia ed occorrerà tempo per avere indicazioni più serie al riguardo.

Ricordando in particolare quanto accaduto nel 2008 (la destra religiosa repubblicana non si riconosceva assolutamente in John McCain), può certamente accadere che i più convinti tra i simpatizzanti di Nikki Haley decidano per “la traversata del deserto”.
Per astenersi dal voto aspettando tempi diversi, dal loro punto di vista migliori.
McCain anche per questo perse.
Vedremo quanto a Trump.

7 marzo 2024

Cinquecentotrentotto Electors

È dalle elezioni del 1964 – le prime nelle quali furono chiamati al voto cinquanta Stati più il Distretto di Columbia (nel 1959 erano entrati nell’Unione Alaska ed Hawaii) – che gli Elettori da eleggere il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile sono cinquecentotrentotto ammontando quindi la maggioranza assoluta necessaria per ottenere che il Collegio formato dagli stessi nomini il Presidente il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo dicembre a duecentosettanta.
Sarà pertanto il corrente 2024 l’anno della sedicesima votazione in tale prospettiva.
In precedenza, elezioni del 1960 a parte (il District of Columbia non era ancora ammesso alle urne e per una particolare alchimia allora i Delegati Nazionali da eleggere erano cinquecentotrentasette), il periodo più lungo nel quale – non entrando a far parte dell’Unione nuovi Stati – il numero dei molte volte indicati membri del Collegio incaricato della nomina non cambiò, essendo quarantotto i componenti il Paese, fu, tra il 1912 e il 1956, di cinquecentotrentuno, con una maggioranza fissata a duecentosessantasei.

7 marzo 2024

Presidenziali del 1852

Si vota il 2 novembre e ai seggi si reca il sessantanove e sei per cento degli aventi diritto.
Gli Electors da nominare sono duecentonovantasei e pertanto è fissata a centoquarantanove la maggioranza assoluta necessaria.
Tre i partiti principali in lizza.
Il Partito Democratico e il Whig tennero le Convention a Baltimora.
Il Free Soil a Pittsburgh.
Principale ragione del contendere, ovviamente, lo schiavismo, avversato al Nord, difeso al Sud.

Fra i democratici, la lotta pare ristretta a quattro pezzi da novanta.
James Buchanan, futuro Presidente già Segretario di Stato, Lewis Cass, Senatore già candidato nel 1848, Stephen Douglas, Senatore per l’Illinois e uno dei rivali di Lincoln più avanti, nel 1860, e William Marcy, un uomo politico che aveva ricoperto e ricoprirà fino alla morte un incredibile numero di pubblici incarichi.
Dopo un numero infinito di votazioni, la scelta cade su un outsider, il già Senatore del New Hampshire Franklin Pierce.

Fra gli Whig, sconfitto in sede di Convention il Presidente uscente Millard Fillmore, battuto il grande Daniel Webster, ci si affida all’eroe di mille battaglie, in servizio fin dal 1808, il Generale Winfield Scott.
Non aveva in effetti il partito vinto due volte in precedenza presentando militari valorosi quali William Harrison (nel 1840) e Zachary Taylor (nel 1848)?
Scott sarà invero l’ultimo candidato alla Presidenza proposto dai Whig che si avviano rapidamente alla dissoluzione.

Fra l’altro, proprio nel 1852, prima delle elezioni, muoiono sia il citato Webster (e sarebbe stato un grosso problema se l’avessero scelto) che Henry Clay, le due persone che, pur non arrivando mai alla Casa Bianca, avevano reso il partito significativo sul piano nazionale.

Per inciso e visto che, allegramente, si parla di decessi, il Vice di Pierce William King morirà il 18 aprile 1853 restando quindi in carica per soli quarantacinque giorni (e all’epoca, fino all’adozione del 1967 di un apposito Emendamento, il Vice deceduto o dimissionario non veniva sostituito).

Il terzo pretendente allo scranno presidenziale è John P. Hale, Senatore del New Hampshire, per conto del Free Soil.
Catturerà solamente la metà dei voti presi da Martin Van Buren quattro anni prima e resterà a bocca asciutta sia in termini di Stati che di Elettori.

Così come Scott – l’abbiamo detto, l’ultimo candidato dei Whig a White House – Hale resterà l’ultimo Free Soil, visto che l’effimero partito che lo esprimeva si scioglierà nel 1854.

La vittoria di Pierce fu netta: ventisette Stati, contro i quattro andati a Scott, e duecentocinquantaquattro delegati al Collegio Elettorale contro quarantadue.
In qualche modo storicamente ‘giusto’ che Whig e Free Soil spariscano.

Due anni dopo, nel 1854, nascerà il Partito Repubblicano.

7 marzo 2024

Nikki Haley: “È tempo di lasciare”

Con un discorso tenuto vicino a Charleston – nel suo South Carolina che purtroppo le ha negato il sostegno nelle recenti Primarie – la sola candidata alternativa a Donald Trump rimasta finora in competizione, Nikki Haley, visto l’esito del Super Tuesday di ieri, ha annunciato l’abbandono della campagna per la Nomination repubblicana.
Non ha nella circostanza dichiarato il proprio sostegno al rivale, invitandolo a guadagnarsi i suoi voti se capace.
Ha in questo modo e momento termine una avventura elettorale che l’ha vista rappresentare nell’agone con grande dignità il vecchio repubblicanesimo, precedente il ciclone Trump.
Si ritira avendo vinto nel District of Columbia e in Vermont.
In qualche modo nei due luoghi tra quanti finora chiamati alle urne più vicini alle posizioni liberal e politically correct.
Vedremo se davvero Trump sarà in grado di conquistare anche quel venti per cento abbondante dell’elettorato che Haley, al di là dei due luoghi citati, ha rappresentato.

6 marzo 2024

Super Tuesday Results: tutto secondo le aspettative

I pochi che, follemente invero, pensavano che l’esito delle Primarie e dei Caucus di questo Super Martedì 2024 potesse recare sorprese sono rimasti male.
Nei due fronti, solo qualche increspatura: Donald Trump ha perso comunque di poco nel Vermont – laddove la rivale, prevalendo ha evitato il cappotto – e Joe Biden nelle sperdute Samoa Americane.
Tutto qui.
Alla fine, considerando il campo repubblicano, risultati alla mano, si può sostenere che, al di là dello Stato con capitale Montpelier, il plauso nei confronti di Nikki Haley si attesti in larga parte del Paese attorno al 20 per cento; che arrivi all’incirca al 30 in Virginia, Colorado e Minnesota, e sfiori il 40 nel Massachusetts.
Decisamente poco per continuare, dicono gli osservatori.
Vedremo nelle prossime ore, a bocce ferme, quali saranno le decisioni in merito.

6 marzo 2024

Anche nel North Dakota, Trump alla grande

Quasi invisibile, collocato come era a lunedì 4 marzo il giorno prima quindi del Super Tuesday, il Caucus repubblicano del North Dakota.
Del resto, solo 29 i delegati spettanti al vincitore.
Che, con enorme vantaggio (85 per cento a 14), è risultato essere Donald Trump.
Mala tempora currunt per Nikki Haley, quasi ogni giorno di più.

6 marzo 2024