La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

Democrazia? Davvero? Intesa come zattera?

Caratteristica fondamentale del dibattito politico ideologico istituzionale in corso in America nelle 13 colonie – come molto bene scrive Jill Lepore in ‘Queste verità’ – prima che si parlasse di Rivoluzione e Indipendenza fu la diffusa connotazione inequivocabilmente negativa del vocabolo ‘democrazia’ e di cosa rappresentasse.
Ci si rifaceva in questo ad Aristotele, secondo il quale esistono tre forme di governo: quello monarchico, quello aristocratico e quello politico (da ‘polis’).
Pertanto, quello di uno, di pochi, di molti.
Ognuno di essi ha il difetto di corrompersi quando favorisce i propri interessi piuttosto che il bene comune.
Una monarchia corrotta è una tirannia.
Una aristocrazia corrotta è una oligarchia.
Una ‘polis’ corrotta è una democrazia!
Per evitare che si corrompano occorre combinare in modo appropriato le tre forme così che la corruzione in ognuna sia controllata e corretta dalle altre.
Uno dei futuri Founding Fathers al riguardo ebbe a chiudere il discorso sostenendo che la nave monarchica naviga bene anche se può capitarle di affondare, mentre la repubblica è “una zattera che non affonderà mai però i tuoi piedi sono sempre nell’acqua”.

Senato e Georgia

I dati relativi all’ultimo sondaggio effettuato in Georgia laddove il 5 gennaio avranno luogo i due ballottaggi che porteranno alla elezione dei due Senatori spettanti allo Stato.
Il 46 per cento degli intervistati ha dichiarato che voterà repubblicano contro il 42.
A dire il vero, la domanda proposta era “Lei spera vincano i repubblicani o i democratici?” che è diversa.
Comunque sia – essendo già 50 i seggi repubblicani – se almeno uno dei due scranni va al GOP, Biden sarà in difficoltà fino alle Mid Term Elections del 2022.

Che dire, elettoralmente parlando, di Thomas Jefferson?

Grande traccia di sé, quella lasciata da Thomas Jefferson.
Dapprima parlamentare e Governatore della sua Virginia, sarà decisivo nella stesura della Dichiarazione di Indipendenza.
Ambasciatore a Parigi (ed è quando lontano che James Madison lo tiene al corrente di tutto quanto accade nel Paese per ottenerne indicazioni e suggerimenti).
Fondatore del partito democratico/repubblicano che governerà gli USA per decenni.
Primo Segretario di Stato.
Secondo Vice Presidente.
Terzo ad entrare all’Executive Mansion…
Sua la visione e l’azione politica e istituzionale ideale, linea guida morale degli Stati Uniti (che troverà alternativa assai dopo nella ‘wilsoniana’) e definita appunto ‘jeffersoniana’.
(Si può qui ricordare che non si oppose mai al razzismo – e lasciamo perdere – e che fu il primo ad applicare lo ‘spoil system’?)
Attivo oltremodo in campo culturale, architetto, inventore.
Immortalato nel Novecento da Gutzon Borglum sul Monte Rushmore con George Washington, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt…
Orbene, elettoralmente giudicandolo, decisamente assai più facile coglierne le ombre che i bagliori.
È nel 1796, ritiratosi George Washington, che si candida la prima volta per la magione presidenziale (non ancora edificata quella che parecchi anni dopo verrà chiamata White House).
E perde dal rivale politico federalista e Vice uscente, John Adams.
Esercita pertanto – queste allora le regole elettorali non essendo previsto il ticket che sarà introdotto solo nel 1804 – le funzioni vicarie in una (per fortuna, la sola) legislatura nella quale il Capo dello Stato è di un partito e il Vice di un altro.
Si dirà a questo punto: eccolo prevalere nel 1800, defenestrare Adams, governare otto anni, due mandati!
Davvero molte le implicazioni e le valutazioni da fare in proposito.
Ci occupiamo qui delle due più significanti.
La prima – notissima perché anch’essa, come la sua Vice Presidenza, unica quanto a modalità e per le molte conseguenze avute – riguarda l’esito della votazione che si svolse tra il 31 ottobre e il 3 dicembre dell’indicato anno.
Ebbene, conquistò settantatre Grandi Elettori nella circostanza.
Non abbastanza per vincere nella conseguente riunione del Collegio visto che altrettanti Delegati Nazionali contava Aaron Burr, teoricamente in corsa per il Vicariato, ma, comunque, al mentre, con lui in competizione per il massimo traguardo.
La Costituzione imponeva in una simile evenienza il ballottaggio alla Camera nel seguente anno di fronte al Legislativo appena eletto.
Ballottaggio nel quale si votava (si voterebbe anche domani, dovesse presentarsi situazione consimile – pareggio – o nessuno dei candidati avesse raggiunto la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori) per Delegazioni valendo ogni Stato uno.
Al ‘grande Jefferson’ occorsero 36 votazioni per infine prevalere.
Infine e in ragione del decisivo intervento a suo favore di Alexander Hamilton.
Non che al nativo dell’isola di Nevis Thomas piacesse.
Lo temeva comunque meno di Burr.
Finalmente insediato il 4 marzo (sarà solo dal 1937 che la cerimonia relativa avrà luogo il 20 gennaio sempre dell’anno successivo a quello elettorale), il Nostro si trovò tra i piedi come Vice un non felice uomo politico.
Fra i due, contrasti e difficoltà a pioggia.
Ma insomma…
Occorse però che nel 1804, non solamente in conseguenza della vecchia faccenda, Burr sfidasse a duello Hamilton e lo uccidesse!
(Il ‘povero’ Aaron è negli Stati Uniti considerato peggio di Giuda Iscariota, ma se poi si va a guardare gli esiti del tanti giudizi subiti, per quel che conta la verità – meno di niente – fu praticamente sempre assolto).
La seconda – celata, messa da parte, fastidiosissima – concerne il fatto che se il voto degli Stati del Sud non fosse stato amplificato dalla ‘clausola dei tre quinti’ (che aumentava in ragione degli schiavi colaggiù residenti il loro peso elettorale), Thomas Jefferson “avrebbe perso”!
(Importante specificare in proposito. Due esempi. Dopo il Censimento del 1790 – i Grandi Elettori alla fine, conseguono al ‘Census decennale – 140 mila i cittadini liberi nel New Hampshire e 4 seggi alla Camera.
La South Carolina con altrettanti liberi e centomila schiavi, due di più.
Nel Massachusetts vivevano più liberi – e praticamente nessun servo a vita – che in Virginia ma colaggiù gli schiavi erano 300 mila e 5 i seggi in più).
Tutto questo combinato, finalmente (v’è da dirlo e chissà che sospiro di sollievo), dal 4 marzo 1801, Jefferson governò.
Osanna (?!).
Non fosse per il fatto che, sconfitto, John Adams avesse nominato Presidente della Corte Suprema un vero gigante: John Marshall.
Ovviamente federalista, improntò Marshall delle idee del movimento politico in quel modo battuto e dal punto di vista della giurisprudenza, da quello del diritto, della impostazione dei giudizi, delle determinazioni, decisamente prevalente!

Il Presidente più colto?

I Padri della Patria arrivati alla Executive Mansion?
Assolutamente sì.
John Adams, Thomas Jefferson, l’incredibile James Madison, John Quincy Adams…
“Semidei”, secondo lo stesso Jefferson.
Aristocratici nel senso americano del termine.
Preparati alla bisogna.
Capaci, e basti guardare alle fondamenta istituzionali, sociali, giuridiche, che hanno saputo dare al Paese che avevano prima immaginato per assolutamente convenire.
Abraham Lincoln, per quanto James Garfield lo trattasse con sufficienza definendolo “un avvocato di secondo ordine”?
Quest’ultimo, nato in una casa formata da tronchi d’albero, che va studiato a fondo, probabilmente fuori portata per tutti culturalmente parlando (e che peccato che l’abbiano assassinato data la brillantezza).
Il travolgente Theodore Roosevelt, “quel maledetto cow-boy”?
Non fino in fondo Franklin Delano Roosevelt? No!
Stando alla testimonianza di Henry Kissinger, Richard Nixon, che da questo punto di vista lo celebra?
E da allora, nessun altro?
Qualche brillante personaggio?
Forse.
Di grande cultura?
No!

“Grazia preventiva”? Una sconvolgente ma possibile ipotesi

Voci insistenti a Washington.
Voci conseguenti ancora una volta alla contrapposizione senza scampo tra Donald Trump e i suoi avversari, che solamente ‘politici’ sarebbe molto limitatamente definire.
Siamo – ben lo sappiamo e va oggi ribadito – all’odio e ad un palpabile desiderio di vendetta nei confronti di un uomo che, come mai in precedenza accaduto, ha rappresentato per i democratici un ostacolo “volgare”, culturalmente estraneo e, del tutto indigeribile, per lunghi momenti, vincente.
Voci che si riferiscono alla – da non pochi ritenuta necessaria vista la defenestrazione novembrina – Grazia per lo stesso fra non molto ex Presidente, per i suoi familiari, per i suoi avvocati difensori…
Una Grazia “preventiva”.
(Nel 1974, Gerald Ford concesse la concesse al predecessore, dimissionario a causa dello ‘Scandalo Watergate’, Richard Nixon ed è questo precedente che viene alla mente).
Orbene, Donald Trump potrebbe in teoria (sarebbe una difficilissima prima volta e provocherebbe un finimondo) dimettersi appena dopo il 14 dicembre (giorno nel quale il Collegio dei Grandi Elettori nominerà il Presidente).
Gli subentrerebbe il Vicepresidente Mike Pence, ad ogni effetto e con tutti i poteri a quel mentre Capo dello Stato fino alle ore 12 del 20 gennaio 2021.
Pence – prendendo su di se una responsabilità storicamente unica (e quanto accettabile?) – opererebbe conseguentemente.
L’atto – non potrebbe essere altrimenti – sarebbe successivo all’entrata in carica e pertanto la definizione “preventiva” che se ne dà fa riferimento all’intesa Trump/Pence al riguardo che deve precedere la successione.
Non vorrei essere nei panni di un Pence a questo modo operante per tutto l’oro del mondo!

Certificazioni all’1 dicembre

35 gli Stati che all’1 dicembre hanno certificato il risultato elettorale.
15 più il Distretto di Columbia quelli che non l’hanno ancora fatto.
I limiti posti dalle leggi locali al riguardo sono in effetti differenti.
Certo è che entro l’8 del mese dovrebbero essere ufficializzati i nominativi dei Grandi Elettori dato che la successiva votazione del Collegio che li raccoglie è fissata al 14.

Le riflessioni in merito ai sondaggi di Scott Rasmussen

Ho chiesto all’ottimo analista una in qualche modo definitiva argomentazione in merito. Ecco le sue interessanti righe:
“Nelle ultime settimane ho notato che l’industria delle previsioni elettorali ha avuto problemi in ogni elezione di questo secolo.
Ho anche fatto notare che una parte importante del problema è la distorsione dell’analisi e il ricorso a tecniche di scrutinio obsolete.
Sono contento che molte persone stiano lavorando sodo per trovare il modo di migliorare i sondaggi e le previsioni elettorali.
Ma temo che l’ossessione per questo unico problema stia portando molti ad ignorare il tema molto più grande associato al mondo dei sondaggi pubblici.
Dal mio punto di vista, i sondaggi elettorali sono la parte meno importante e meno interessante del nostro lavoro.
Il compito più importante è quello di alzare la voce dei senza voce in modo che possano essere ascoltati nelle sale del potere. Purtroppo, Election 2020 ha dimostrato ancora una volta che le élite politiche non hanno idea di quanto grandi segmenti dell’opinione pubblica americana vedano il mondo.
In particolare, c’è stato un fallimento nella Washington ufficiale nel comprendere gli elettori rurali, quelli senza laurea, e le minoranze.
Odio dirlo, ma gli errori nei sondaggi sono una parte importante di questo particolare problema.
Questo perché la maggior parte dei sondaggi pubblici inquadrano le domande e i problemi in modi che hanno senso per i politici ma non per il pubblico.
Un semplice esempio di questo è il sondaggio sull’opportunità di rovesciare la sentenza Roe contro Wade.
Le domande dei sondaggi emergono ripetutamente durante le udienze di conferma dei giudici della Corte Suprema e negli exit poll.
E’ certamente una domanda giusta.
Il problema però è che la maggior parte degli elettori – il 56 per cento – non sa cosa significherebbe ribaltare quella sentenza da un punto di vista politico.
Se la maggior parte degli elettori non capisce le implicazioni politiche del rovesciamento di Roe contro Wade, una semplice domanda sull’opportunità di rovesciarla non ha senso (ed è fuorviante).
Un approccio migliore sarebbe quello di concentrarsi su come il pubblico pensa all’aborto e alle questioni correlate.
Tali sforzi mostrano che l’atteggiamento del pubblico è più conflittuale e sfumato di quanto i sostenitori di entrambe le parti del dibattito vogliano ammettere.
Questa è una situazione abbastanza comune.
Troppi sondaggisti pubblici fanno domande nella lingua di Washington ufficiale piuttosto che nella lingua degli americani di tutti i giorni.
Usano termini che hanno un significato specifico per coloro che sono coinvolti nel dialogo politico, ma che hanno un significato completamente diverso nella cultura popolare.
Per parafrasare George Bernard Shaw, le élite politiche e l’America sono due nazioni separate da una lingua comune.
Il miglior esempio attuale di questo fenomeno è la parola socialismo.
Il mio ultimo sondaggio sull’argomento mostra che circa il 30 per cento degli elettori ha almeno un’opinione un po’ favorevole del termine.
A molti nella Washington ufficiale, questo suona come un sostegno alla politica del senatore Bernie Sanders e della deputata Alexandria Ocasio-Cortez.
Ma questo è ben lungi dall’essere vero.
Infatti, la maggior parte di coloro che dicono di essere a favore del socialismo non pensano che abbia nulla a che fare con l’aumento delle tasse o con un governo più potente.
Pochi che amano il termine pensano che abbia riferimento con l’economia (e quelli che dicono di amare il socialismo favoriscono in modo schiacciante il libero mercato).
Coloro che pensano al socialismo così come è stato storicamente inteso sono fortemente contrari.
Questo include molti elettori ispanici e latini che si sono allontanati dai Democratici nel 2020 a causa del flirt del partito con il socialismo.
La cosa veramente pericolosa è che le élite politiche non riconoscono l’errore di traduzione.
Il sostegno alle politiche socialiste non sta crescendo tanto quanto i progressisti sperano o i conservatori temono.
In realtà, solo il 10 per cento circa degli elettori è favorevole al socialismo così come è stato storicamente inteso.
Uno dei migliori esempi di come la barriera linguistica crei problemi reali nel mondo si può trovare sulla questione dell’immigrazione. L’incomprensione dell’élite su come gli americani vedono questo problema è sconcertante.
Ed è uno dei motivi principali per cui Donald Trump è riuscito a vincere la Casa Bianca nel 2016.
Per esempio, un sondaggio pubblicato all’inizio di quest’anno è stato presentato in questo modo: “Con un margine di più di 2 a 1, gli americani vedono l’immigrazione negli Stati Uniti come una buona cosa per il paese.”
Un’analisi successiva ha detto che il sondaggio “trova che il pubblico americano è – e rimane – ampiamente a favore dell’immigrazione”.
Mentre la campagna di Trump e i repubblicani continuano a lavorare duramente sulla xenofobia, il sondaggio offre un promemoria che la stessa strategia anti-immigrazione che è fallita dal 2017 al 2019 potrebbe di nuovo ritorcersi contro l’opinione pubblica americana nel 2020″.
I risultati del mondo reale sia nel 2016 che nel 2020 contraddicono questa concezione della questione.
Il problema inizia con la domanda di sondaggio che è stata posta (e altre che non sono state poste).
Chiedere semplicemente se l’immigrazione è una cosa buona o cattiva ignora il modo in cui la maggior parte degli americani vede la questione.
8 su 10 dicono costantemente che l’immigrazione legale è un bene per l’America.
È molto più alto del 54 trovato nel sondaggio HuffPost.
Allo stesso tempo, 8 votanti su 10 affermano costantemente che l’immigrazione illegale è un male per il paese.
Quando si mettono insieme i risultati, si scopre che la maggioranza degli elettori vede una distinzione fondamentale tra immigrazione legale e illegale.
Uno è buono, l’altro è cattivo.
Quindi, se fai parte di una maggioranza che vede una grande differenza tra immigrazione legale e illegale, come rispondi a una domanda che non riconosce questa distinzione fondamentale?
Donald Trump ha capito la differenza.
Così come la stragrande maggioranza degli elettori che vogliono porre fine all’immigrazione clandestina.
Tali politiche sono viste dalla maggior parte degli elettori come una questione di buon senso, non di xenofobia.
L’incomprensione dell’élite politica provoca un vero e proprio danno politico.
Non solo, l’industria dei sondaggi soffre quando descrive l’opinione pubblica in modi che non hanno senso per il pubblico in generale.
La stessa cosa accade, questione dopo questione.
Questo uso imperfetto dei sondaggi sta contribuendo al disfunzionamento del nostro sistema politico.
Quindi, mentre è positivo che molti sondaggisti e analisti stiano cercando modi per migliorare le previsioni elettorali, la sfida più grande è che i sondaggisti imparino la lingua del popolo americano. Piuttosto che cercare di capire quali sono i punti di conversazione politica di quale squadra raccolgono più sostegno; i sondaggisti dovrebbero usare il loro strumento per aiutare le élite politiche ad ascoltare ciò che il popolo americano dice veramente.
Questo inizia con il porre domande nella lingua degli americani di tutti i giorni”

(Scott Rasmussen è un analista politico americano e imprenditore dei media digitali. È l’autore di “The Sun is Still Rising”: La politica ha fallito, ma l’America no”)

I Presidenti degli Stati Uniti: tutto e ancora di più!

In ordine di entrata in carica:
Washington, George (1) (2) (3)
Washington, George
Adams, John
Jefferson, Thomas
Jefferson, Thomas
Madison, James
Madison, James
Monroe, James
Monroe, James
Adams, John Quincy
Jackson, Andrew
Jackson, Andrew
Van Buren, Martin
Harrison, William
Tyler, John
Polk, James
Taylor, Zachary (4)
Fillmore, Millard
Pierce, Franklin
Buchanan, James
Lincoln, Abraham
Lincoln, Abraham
Johnson, Andrew
Grant, Ulysses
Grant, Ulysses
Hayes, Rutherford
Garfield, James
Arthur, Chester
Cleveland, Grover
Harrison, Benjamin
Cleveland, Grover
McKinley, William
Roosevelt, Theodore
Taft, William
Wilson, Woodrow
Wilson, Woodrow
Harding, Warren
Coolidge, Calvin
Hoover, Herbert
Roosevelt, Franklin Delano (5) (6)
Roosevelt, Franklin Delano
Roosevelt, Franklin Delano
Roosevelt, Franklin Delano
Truman, Harry
Eisenhower, Dwight
Eisenhower, Dwight
Kennedy, John
Johnson, Lyndon
Nixon, Richard
Nixon, Richard
Ford, Gerald
Carter, Jimmy
Reagan, Ronald
Reagan, Ronald
Bush, George Herbert
Clinton, Bill
Clinton, Bill
Bush, George Walker
Bush, George Walker
Obama, Barack
Obama, Barack
Trump, Donald
Biden, Joe
(1), il solo eletto alla unanimità, tutte e due le volte, dal Collegio dei Grandi Elettori
(2), l’unico (a parte i Vice subentrati) entrato in carica, nella prima circostanza, in una data del tutto anomala: il 30 aprile 1789.
(3), il primo, dopo le votazioni del 1792, ad insediarsi il 4 marzo dell’anno successivo a quello elettorale
(4), è il primo ad essere eletto in un solo giorno dato che in precedenza si votava per più settimane
(5), è l’ultimo ad insediarsi il 4 marzo (nel 1933)
(6), è il primo a giurare, nel 1937, a seguito di un Emendamento che anticipa la cerimonia,
alle 12 del 20 gennaio, come da allora sempre.

In ordine alfabetico:
Adams, John
Adams, John Quincy
Arthur, Chester
Biden, Joe
Buchanan, James
Bush, George Herbert
Bush, George Walker
Carter, Jimmy
Cleveland, Grover
Clinton, Bill
Coolidge, Calvin
Eisenhower, Dwight
Fillmore, Millard
Ford, Gerald
Garfield, James
Grant, Ulysses
Harding, Warren
Harrison, Benjamin
Harrison, William
Hayes, Rutherford
Hoover, Herbert
Jackson, Andrew
Jefferson, Thomas
Johnson, Andrew
Johnson, Lyndon
Kennedy, John
Lincoln, Abraham
Madison, James
McKinley, William
Monroe, James
Nixon, Richard
Obama, Barack
Pierce, Franklin
Polk, James
Reagan, Ronald
Roosevelt, Franklin Delano
Roosevelt, Theodore
Taft, William
Taylor, Zachary
Truman, Harry
Trump, Donald
Tyler, John
Van Buren, Martin
Washington, George
Wilson, Woodrow

Per numero di elezioni (fino al 1951 non esisteva una limitazione alle possibili candidature) e successivamente nel tempo:
Roosevelt, Franklin Delano, quattro (1)
Washington, George, due
Jefferson, Thomas, due
Madison, James, due
Monroe, James, due
Jackson, Andrew, due
Lincoln, Abraham, due (1)
Grant, Ulysses, due
Cleveland, Grover, due (2)
McKinley, William, due (1)
Wilson, Woodrow, due
Eisenhower, Dwight, due (4)
Nixon, Richard, due (4) (5)
Reagan, Ronald, due (4)
Clinton, Bill, due (4)
Bush, George Walker, due (4)
Obama, Barack, due (4)
Adams, John, una
Adams, John Quincy, una
Van Buren, Martin, una
Harrison, William, una (1)
Polk, James, una
Taylor, Zachary, una (1)
Pierce, Franklin, una
Buchanan, James, una
Hayes, Rutherford, una
Garfield, James, una (1)
Harrison, Benjamin, una
Roosevelt, Theodore, una (3)
Taft, William, una
Harding, Warren, una (1)
Coolidge, Calvin, una (3)
Hoover, Herbert, una
Truman, Harry, una (3)
Kennedy, John, una (1)
Johnson, Lyndon, una (3)
Carter, Jimmy, una
Bush, George Herbert, una
Trump, Donald, una
Biden, Joe, una
(1), deceduti in carica
(2), mandati non consecutivi, unico caso
(3), subentrati in quanto Vice e poi personalmente eletti
(4), impossibilitati ad una terza elezione dall’Emendamento del 1951
(5), dimissionario, unico caso.

Nell’ordine, i non rieletti perché sconfitti cercando il rinnovo al primo incarico:
Adams, John
Adams, John Quincy
Van Buren, Martin
Harrison, Benjamin
Taft, William
Hoover, Herbert
Bush, George Herbert
Trump, Donald

Nell’ordine, gli eletti dal Collegio dei Grandi Elettori pur avendo perso il voto popolare a livello nazionale:
Adams, John Quincy (1)
Hayes, Rutherford (2) (3)
Harrison, Benjamin (2)
Bush, George Walker (2)
Trump, Donald (2)
(1), nella circostanza, nessuno dei candidati aveva conquistato la maggioranza assoluta dei Delegati Nazionali e la competenza passò alla Camera, giusto il disposto del XII Emendamento.
(2), tutti repubblicani
(3), l’eletto al Collegio con il margine più stretto: un solo voto in più.

Nell’ordine temporale, i Vice subentrati causa morte e non ricandidati nella successiva votazione
Tyler, John (1)
Fillmore, Millard (1) (2)
Johnson, Andrew (3)
Arthur, Chester (1)
(1), succeduti nel corso del primo mandato del titolare
(2), invero, si ripropose, ma dopo un intervallo dì quattro anni
(3), subentrato in corso di secondo quadriennio del predecessore

Nell’ordine temporale, i Vice che, succeduti mortis causa, si sono poi, nel seguente mandato, riproposti, risultando eletti:
Roosevelt, Theodore (1) (2)
Coolidge, Calvin (1)
Truman, Harry (1)
Johnson, Lyndon (1)
(1), nessuno tra loro si ricandidò per un successivo incarico
(2), per il vero, ‘Teddy’, uscito dalla casa repubblicana, nel 1912 corse sostanzialmente da indipendente ottenendo il massimo seguito della storia (88 Grandi Elettori!) ma sostanzialmente consentendo allo schieramento avverso di vincere.

Uno soltanto il Presidente arrivato alla Executive Mansion senza essere mai stato eletto:
Ford, Gerald (1) (2) (3)
(1), succeduto dapprima, attraverso la procedura introdotta dall’Emendamento del 1967, al Vice Presidente dimissionario Spiro Agnew, subentrò poi a Richard Nixon, a sua volta rinunciante all’incarico.
(2), è altresì il solo Vice del Novecento che, entrato in ruolo a White House, si è presentato alle seguenti votazioni perdendo
(3), è anche il solo Presidente che dovette procedere alla nomina del proprio Vice seguendo il dettato dell’Emendamento in precedenza a lui applicato.

Uno soltanto il Capo dello Stato, già due volte eletto, in corsa – invano perché sconfitto alla Convention e con un intervallo dì quattro anni – per una terza investitura:
Grant, Ulysses.

L’unico candidato (teoricamente, visto che allora non esisteva il ticket elettorale) alla Vice Presidenza che ottenne lo stesso numero di Grandi Elettori del pretendente alla Executive Mansion e fu poi battuto al ballottaggio alla Camera:
Burr, Aaron.

Addenda e apparati:
È per mia decisione che nei testi parlo di Grandi Elettori.
In origine, le disposizioni li indicano come “Elettori – con l’iniziale maiuscola avendo l’alta incombenza di eleggere il Capo dello Stato – per distinguerli da quelli ‘comuni’, che hanno ‘solo’ diritto al voto,
Dal 1848 ci si reca ai seggi “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile”.
Dalla votazione del 1964, partecipando il District of Columbia, i predetti sono 538 (pari al numero totale dei Congressisti – 535 – più i 3 che spettano all’appena citato Distretto) e la maggioranza assoluta è 270.
Va precisato che i membri del Collegio sono attribuiti ai singoli Stati sulla base della consistenza della loro popolazione come risulta dai Censimenti decennali che si effettuano negli anni con finale zero (il primo nel 1790), consistenza che permette tra gli stessi, in primo luogo l’attribuzione proporzionale dei Rappresentanti alla Camera Federale, e dipoi dei Grandi Elettori.
Per legge, il Collegio degli appena detti si riunisce nella Capitale di ogni Stato “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre seguente il voto novembrino”.
I verbali conseguenti vengono inviati al Congresso (il nuovo Congresso, rinnovato per il Senato per un terzo e per la Camera totalmente, lo stesso giorno delle cosiddette Presidenziali) che procede alla ratifica normalmente il 6 gennaio a venire.
Come detto e ripetuto, la cerimonia di Insediamento, il Giuramento sulla Bibbia (si può anche dare la propria parola), il Discorso inaugurale hanno luogo alle ore 12 ora di Washington del 20 gennaio.
Infine, per quanto si affermi e si ripeta che i soli partiti in corsa per la bisogna siano i repubblicani e i democratici, così non è.
Nel 2020 – ovviamente senza veruna reale possibilità – i candidati erano 36.
Va qui segnalato che il Libertarian Party ha accesso ai ballottaggi in tutti gli Stati.
I Verdi, meno incidenti rispetto agli anni a cavallo del 2000, in un numero inferiore.

Trump rifiutato, rifiuta

Una non sempre rispettata tradizione vuole che, determinato l’esito delle elezioni per White House, il candidato sconfitto, congratulandosi, riconosca l’affermazione del rivale e dichiari altresì di ritenerlo assolutamente ‘suo Presidente’.
Numerosi i casi, probabilmente l’ultimo dei quali tanto esplicito risale al novembre 2008, quando il repubblicano John McCain, vincente Barack Obama, pronunciò frasi ritenute di particolare sensibilità.
È occorso qualcosa del genere nel 2016?
La parte dem incredibilmente battuta ha accettato la sconfitta e si è disposta disciplinatamente dietro Donald Trump?
Mai, neppure per un attimo, accusando dipoi per l’intero quadriennio il rivale di ogni e qualsiasi azione e comportamento truffaldino ed ostile.
Ciò detto e constatato, perché mai si chiede oggi al Presidente sconfitto di comportarsi come i suoi avversari non si sono affatto comportati?

La Corte Suprema statale

A livello statale, 52 le Corti Supreme.
Questo perché l’Oklahoma e il Texas ne contano due: una per le questioni civili e l’altra per quelle penali.
345 in totale i Giudici.
Da 5 a 9, dipende dalle disposizioni assunte, i componenti il consesso.
Essendo i dati relativi alla consistenza nelle Corti di repubblicani e democratici non aggiornati, torneremo sul tema quando possibile.