La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

La California certifica Biden

Anticipando di qualche giorno la propria ‘deadline’ in merito, la California ha ‘certificato’ i suoi 55 Grandi Elettori, ovviamente democratici essendo lo Stato con capitale Sacramento da oramai molte consultazioni assolutamente e con milioni di voti popolari in più facilissima preda del partito oggi definibile ‘di Biden’.
Con questa aggiunta, l’ora citato dovrebbe essere sicuro di ottenere il 14 prossimo, in sede di Collegio dei Grandi Elettori, 279 voti, 9 più della necessaria maggioranza assoluta.

Il Connecticut è (da sempre?) lo Stato più ricco

Molti i modi per accertare la ricchezza dei singoli Stati.
Sulla base dei dati economici odierni, il Connecticut è in questa specifica graduatoria al primo posto.
(E, nel contempo, uno dei ‘luoghi’ nei quali usualmente i democratici dal 1992 raccolgono un buon numero di consensi).
Orbene, negli anni del cosiddetto ‘voto popolare’, dopo la fine della Guerra Civile e prima dell’introduzione della “Riforma elettorale australiana” (dovette il nome al promotore Henry George che aveva vissuto nel Continente australe e intendeva adottarne la regola in fatto di votazioni), il voto era dovunque costretto o in vendita.
Quello per le cosiddette Presidenziali, tra bevute e risse, aveva luogo sotto la regia di criminali alle dipendenze dei partiti localmente organizzati che si piazzavano fuori dai seggi e compravano i voti distribuendo somme di denaro e consegnando schede elettorali prestampate.
2 dollari e mezzo il suffragio di un elettore di San Francisco.
Il prezzo di un panino in Indiana.
20 dollari in Connecticut!!!

Biden è cattolico. E con questo?

Praticamente ignorato e comunque di ben poca portata per quasi tutti che Joe Biden sia Cattolico.
Quanto lontani i tempi nei quali la sola appartenenza ai “papisti” inibiva dappertutto negli States le candidature e non solo quelle alla Executive Mansion.
Fu il partito democratico che, visti i risultati positivi ottenuti dal più volte colaggiù Governatore del New York Alfred Smith, fedelissimo di Pio XI, pensò nel 1928 di poterlo nominare riponendo in lui una delle speranze di vittoria novembrina storicamente più sbagliate di sempre.
Fu quella, difatti e sostanzialmente solo in ragione della religione del candidato, la circostanza nella quale perfino alcuni Stati del Sud arrivarono – mai visto – a votare per il repubblicano Herbert Hoover dal seguente 4 marzo 1929 in carica.
Lo stesso partito dell’Asino investì un secondo Cattolico nel 1960.
Molta acqua era passata sotto i ponti ma davvero notevole fu il fatto che John Kennedy al riguardo avesse ragionevolmente chiesto ai leader religiosi Protestanti (e questi avessero aderito) e agli elettori di escludere l’argomento dalle contrapposizioni.
Tra i repubblicani, il secondo posto del ticket 1964 fu quello nel quale – davvero sconvolgente per l’epoca – sedette il loro ‘primo Cattolico’ William Miller.
È segno dei tempi il fatto che dagli anni seguenti l’essere o meno fedeli a Roma abbia in questa prospettiva genericamente perso significato.
Va comunque segnalato che John Kerry nel 2004 fu il terzo Cattolico nominato dell’Asinello e che tra i candidati repubblicani, sconfitti da Trump, in corsa nel 2016 non pochi lo erano.
Da sottolineare infine due cose in relazione.
La Chiesa Cattolica Americana – le questioni etiche e le ‘aperture’ liberal dei democratici hanno portato anche a questo – ha aperto da qualche tempo ufficialmente ai GOP.
La forte polemica di non pochi Vescovi e Sacerdoti nei confronti allora di Kerry ed oggi di Biden riguarda le a dire poco blande loro posizioni quanto all’aborto e ai matrimoni gay che, da Cattolici, non potrebbero/dovrebbero che condannare.
A Biden è stata rifiutata – e si è constatato che elettoralmente la questione nulla o quasi ha contato – la Comunione.
Restano articolazioni relative al voto dei ‘nuovi’ e sempre più numerosi elettori Latino Americani non pochi dei quali, per ragioni etiche preferiscono (sarà ancora così e in quale misura?) i repubblicani.

Si avvicina il fatidico 14 dicembre

42 (più il District of Columbia) gli Stati che hanno visto finora cadere la deadline relativa alla ‘certificazione’ dei dati elettorali per quanto riguarda la scelta dei Delegati al Collegio che il 14 dicembre (“il primo lunedì dopo il secondo mercoledì” del mese seguente le votazioni) sarà chiamato ad effettivamente eleggere il prossimo inquilino di White House.
Differenti i termini temporali perché derivanti – in materia, quasi ogni disposizione – da leggi locali.
Premesso che Hawaii, Rhode Island e Tennessee non hanno deadline, gli Stati che devono provvedere a dare seguito sono:
New York, entro il 7
New Jersey, Missouri e Maryland, entro l’8
California, entro l’11.

‘One Term President’

Si guarda alla sconfitta novembrina di Donald Trump come a qualcosa di eccezionale ed in effetti dal 1952 è solo il terzo Presidente ricandidato e battuto.
Prima, nel periodo, lo hanno preceduto a Jimmy Carter e George Herbert Bush.
(Per il vero, anche Gerald Ford che ha seguito un percorso tutto suo essendo diventato Capo dello Stato in conseguenza di due successive dimissioni).
Peraltro, ci si dimentica del fatto che ‘One Term President’ non è solo chi venga defenestrato.
Sempre negli anni indicati, per diverse ragioni, tali sono risultati John Kennedy (assassinato)e Lyndon Johnson (subentrato è vero, ma non ripresentatosi).
Guardando indietro, tra il 1837 (Jackson lascia White House il 4 marzo) e il 1860 (vince la prima volta Lincoln), nessuno permase in sella oltre un quadriennio (anche meno, Harrison e Taylor morti in carica).
Tra il 1900 e il 1932, sette i Presidenti e solo uno (Wilson) al bis.
Cose che sono capitate e capitàno.

Trump ‘disapprovato’, a meno 8 il 3 novembre

Quanto alla ‘approvazione’ o alla ‘disapprovazione’ dell’operato del Presidente candidato ad un secondo mandato e al conseguente risultato nelle urne, le rilevazioni condotte per Donald Trump tra gli aventi diritto al voto prima della consultazione di novembre così concludevano:
‘disapprovato’ dal 52,6 e
‘approvato’ dal 44,6
pertanto con un saldo negativo di 8 punti.
Peggio di lui dal 1948, solo Jimmy Carter nel 1980 (meno 16,9) e George Herbert Bush nel 1992 (meno 22,9).
Ecco in ordine di approvazione gli altri dati partendo da quello straordinario di Lyndon Johnson
1964, Johnson, 74 a 15, più 59
1956, Eisenhower, 67,9 a 19,1, più 48,8
1972, Nixon, 61,3 a 28,6, più 32,7
1984, Reagan, 57,9 a 33, più 24,9
1996, Clinton, 54,6 a 38,6, più 16
2012, Obama, 49,5 a 47,1, più 2,4
1976, Ford, 43,6 a 41,3, più 2,3
2004, G. W. Bush, 48,4 a 47,5, più 0,9
1948, Truman, 39,6 a 45,5, meno 5,9.
Da notare in proposito che
Ford, dato in campo positivo, perse e che Truman, in quello negativo, vinse.
Che se si guarda ai Grandi Elettori conquistati la graduatoria non corrisponde (dipende molto dalla distribuzione statale del voto), dato che il miglior risultato è quello del Reagan 1984 (525 su 538), davanti al Nixon 1972 (520) e al Johnson 1964 (486).
Dei tre, il democratico era subentrato al predecessore e non aveva portato a termine (come i due repubblicani) un ‘proprio’ mandato.

Quanto conta in democrazia il voto popolare

Allorquando, nel 2008, il candidato alla nomination democratica Joe Biden si ritirò dalla competizione lo fece dopo avere constatato che in Iowa i votanti a suo favore erano lo 0,93 per cento.
Kamala Harris, per parte sua, si è ritirata – nella medesima corsa ma ovviamente in vista del 2020 – non riuscendo ad oltrepassare nei sondaggi il 3 per cento.
Saranno il primo Presidente e la seconda Vice.
Per volere degli elettori?
Per volere del partito democratico che li ha imposti!
(E non ha forse lo stesso partito per due volte fermato Bernie Sanders che il voto popolare sapeva conquistare?).

Joe Biden, più da vicino. Con un’occhiata a Kamala Harris

A partire dal 20 gennaio 2021, Joe Biden sarà il 46° Presidente degli Stati Uniti d’America e la 45ª persona a ricoprire l’incarico.
(Grover Cleveland è difatti due volte conteggiato essendo stato eletto in due occasioni sì ma non consecutivamente).
Erano quelle del trascorso 3 novembre 2020 le 59ᵉ votazioni cosiddette Presidenziali.
Era quella la 41ª volta nella quale si fronteggiavano democratici e repubblicani.
Considerando Andrew Jackson tale, è il 15° esponente del suo partito vincente.
Guardando all’accennato confronto/scontro tra i due movimenti egemoni che ha preso il via nel 1856, l’11°.
È l’oggi settantottenne Biden il più anziano arrivato alla Executive Mansion, il secondo Capo dello Stato USA nato in Pennsylvania e, guardando al ‘peso’ elettorale minimo in termini di Grandi Elettori (3) dello Stato che lo ha a suo tempo incardinato più volte al Senato, il Delaware, rappresenta certamente una straordinarietà.
Quanto alla religione, è il secondo cattolico vincente dopo John Kennedy.
Ricordato per inciso che i Vicepresidenti (8) subentrati causa decesso o dimissioni (1) sono appunto in totale 9, è invero il primo tra quanti come lui hanno fatto parte in seconda posizione di un ticket vincente a prevalere in una elezione non immediatamente seguente (cosa che hanno invece fatto John Adams, Thomas Jefferson, Martin Van Buren e George Herbert Bush).
Non si è difatti proposto nel 2016, ma quattro anni dopo.
(Vanno qui ricordati comunque i due precedenti non riusciti tentativi di Biden di ottenere la nomination democratica datati 1988 e 2008, allorquando infine si aggiunse ad Obama).
Ove si guardi alla investitura ufficiale 2020, per quanto considerato, quale moderato, in partenza il favorito, Biden ha conseguito a febbraio risultati senza dubbio deludenti sia nel Caucus dell’Iowa che nelle Primarie del New Hampshire.
È il 29 di quel mese, che, fortemente appoggiato dall’establishment dem che convince molti dei competitori d’area non solo a ritirarsi dalla corsa ma a sostenerlo, che prevalendo finalmente in South Carolina (altresì in ragione della locale forte partecipazione al voto dei neri), si annuncia quale ‘Front Runner.
Superato nel successivo ‘Super Tuesday’ un Bernie Sanders che deve invece fronteggiare la concorrenza di Elizabeth Warren, arriva ad essere il ‘candidato in pectore’ degli Asinelli il seguente 8 aprile, nel momento in cui il citato Senatore del Vermont prende atto della per lui bloccata situazione.
Nominato ufficialmente in agosto nella successiva virtuale Convention di Milwaukee, Wisconsin, ha dipoi condotto una assai intelligente campagna in qualche modo ‘statica’ nella quale ha saputo bene articolarsi approfittando – in politica perché no? – delle gravi difficoltà del Presidente repubblicano (nel frattempo, massacrato dai media, tutti al suo fianco schierati) derivanti in primo luogo dall’arrivo e dal prevalere praticamente su tutto dell’epidemia da Covid 19.
(Una ‘prima’ assoluta visto che la Spagnola aveva avuto elettoralmente parlando la massima presa nelle Mid Term 1918).
È in particolare per via – certamente non solo ma quanto fortemente ha influito? – della malattia che il voto postale e quello anticipato hanno nella circostanza raggiunto numeri mai prima neppure ipotizzati.
(Sul tema possibili truffe conseguenti e soprattutto sul fatto incontrovertibile che l’identità dell’elettore è garantita solo dal voto ai seggi ho più volte scritto).
Il 4 dicembre – accettabile così sia oltre un mese dopo? – i dati non sono ancora ufficializzati in numerosi Stati.
Devono esserlo l’8 giorno nel quale vengono resi noti i nomi e le appartenenze dei Grandi Elettori che poi il 14 dicembre, nel Collegio, (si dice siano 306 quando la maggioranza assoluta è 270) lo eleggeranno.
Pare comunque – quanto al numero degli elettori comunque partecipanti – che siano oltre 180 milioni, un vero record.
Più di 81 quelli del democratico (primato assoluto).
Più di 74 quelli dello sconfitto (record).
Con una partecipazione percentuale che a questi livelli non si raggiungeva dal 1900!
Con lui – Vice a suo tempo indicata per quanto non avesse seguito nei sondaggi se non al 3 per cento – la Senatrice della California Kamala Harris.
È certamente la prima donna che viene eletta, ma non si tratta affatto di una ‘Afroamericana’ – come è stata e viene indicata (la medesima bugia a fini di ‘captatio benevolentiae’ razziale e in fondo razzista) usata per il ‘Kenyan American’ Obama – essendo per padre Giamaicana e per linea materna Tamil.
Non è inoltre neppure la prima persona di colore alla Vice Presidenza perché l’onore nel caso spetta a Charles Curtis, in parte Nativo Americano, sullo stesso scranno tra il 1929 e il 1933.

Ricchi contro poveri. Una situazione difficile e grave

Si ragiona.
Guardando al voto del 3 novembre delle cosiddette Presidenziali.
Allora.
Dei 10 Stati economicamente più ricchi del Paese, 9 hanno votato Joe Biden.
14 dei primi 15 più poveri si sono invece espressi per Donald Trump.
Gli abbienti sono oggi democratici e quanti fanno fatica ad arrivare a fine mese repubblicani?
Sì.
La conferma è data dal fatto che se il District of Columbia fosse uno Stato sarebbe in larga misura il più danaroso precedendo il Connecticut addirittura di 17 punti ed è proprio colaggiù che i repubblicani raccolgono solo il 5 per cento!
Non è ovviamente soltanto questa la ragione delle sempre maggiore divaricazione tra le due Americhe, molto incidendo le differenze di ordine etico/religioso, di educazione e di appartenenza etnica.
Ma il fatto che il fossato si allarghi dovrebbe fare profondamente riflettere.

Come Cleveland? Come Van Buren? Come…

Allora…
Sempre del tutto ignari dei precedenti storici, i media – prima quelli USA e poi, accodati, gli altri, quelli italiani solleciti – inventano a proposito dei possibili immediati futuri scenari trumpiani.
Parlano della intenzione del tycoon, defenestrato, di ricandidarsi nel 2024 come se si trattasse di una rarità assoluta.
Lo hanno fatto
Martin Van Buren nel 1848 (perdendo) e
Grover Cleveland nel 1892 (vincendo).
Dicono – orrore! – che lo stesso Trump potrebbe non partecipare alla cerimonia di Insediamento di Biden, cosa accaduta già quattro volte.
Inventano i giornalisti.
Si copiano.
Chi mai chiederà loro conto dell’ignoranza?
Chi mai chiederà loro di pagare in qualche modo per avere fortemente contribuito a diffondere falsità spacciate per oro colato?
Racaille!